Un fruscio, un guizzo fulmineo. Intravedo appena un´ombra che fugge.  I miei passi lo hanno fatto scappare. In una manciata di secondi il suo abbaiare si disperde nel raggelato silenzio. Paura allo stato brado. L´energia sprecata potrebbe essergli stata fatale.  Candida e innocente è la neve per noi, dannata e crudele per il capriolo nel bosco, a lato della pista del Boé.

L´ho spaventato, forse a morte. Sono stato uno sciocco.

È delicato il capriolo, i suoi muscoli non sono possenti come quelli del cervo, con il suo palato da buongustaio sgranocchia appena gli alberi a foglia, non riesce a saziarsi a sufficienza. Fieno non ce n´è. Deve risparmiarsi; il freddo è intenso in questi giorni; ogni movimento non previsto potrebbe essere cibo per l´aquila. Il mio divertimento ha messo in gioco la sua sopravvivenza. Mi inginocchio nella neve, sono stato invasivo: ho violato casa sua. Mi pento.Immobile sotto i due grandi larici non so darmi pace.

In quell´attimo  con la coda dell´occhio vedo, ad altezza uomo, del vapore, una specie di segnale di fumo che esce da un masso semicoperto di neve. Mi volto di scatto, per un interminabile momento mi sento braccato. Vorrei andarmene e invece mi avvicino. Tutto è silenzio. Faccio un  passo indietro, alzo la testa: sopra di me, la coppia di larici danza lentamente interrogandosi sullo strano individuo con i piedi di papera, lì, in basso dove pochi mesi fa si pavoneggiava la rossa Amanita muscaria. Un po´ a disagio tolgo le ciaspole e mi ci siedo sopra. Passa un tempo immobile: forse un´ora, forse più. Di nuovo: nevica.

Ho gli occhi fissi sul grande masso quando accade di nuovo: un fremito, un´esalazione. Ora l´ho visto chiaramente. Mi alzo e vado ad annusare il punto dal quale era uscita la nuvoletta bianca.

Niente; non c´è niente. Avvicino l´orecchio, respiro appena. Mi sento molto “Zanna Bianca nel richiamo della foresta”. Attendo. Pazientemente e silenziosamente attendo.

Passa altro tempo: un´ora, almeno. Un soffio appena percettibile mi fa sobbalzare. Sposto la testa, guardo, tocco, annuso. Nulla. Torno lì, teso, con l´altro orecchio stavolta. Nessun segnale.

Tremo dal freddo. Mi rimetto le ciaspole, riguardo gli alti larici chini sopra di me. Sorridono della percezione che non ho, dei miei sensi ottusi, così poco ricettivi, dell´umano che non sa cogliere la propria, primordiale essenza.

Sulla via del ritorno scorgo il capriolo, dev´essere lo stesso di prima. È accanto un piccolo abete, a circa venti metri, e stavolta non scappa: immobile mi osserva. Ora mi è chiaro: per un momento la natura mi ha accolto. Mi ha voluto con se. Ha fatto in modo che sentissi i sassi respirare. Con la nostra breve vita non riusciamo a cogliere la loro vita. Noi siamo natura, e per un momento l´ho sentito davvero.

In fondo mi è bastato questo, avvertirlo.
Non avrei potuto chiedere di più. Credo che anche il bosco mi abbia avvertito, o almeno ho avuto questa impressione, come se mi avesse accolto, come quella tigre che ogni sera si avvicinava a Bonatti, senza accostarsi di più, senza oltrepassare quella immaginaria zona di confine, limitandosi solo a riconoscere la sua pacifica e transitoria presenza. Gli uomini e gli animali forse sono così, consapevoli della propria essenza. 

michil costa