C’era una volta una valle incantata. Era un posto dove regnava la natura, integra, selvaggia e pura.
Arrivarono i primi cacciatori. Con archi e frecce aspettavano negli incolti prati che gli animali uscissero dai fitti boschi; colpirli era una necessità.
Per centinaia di anni l’uomo si è sentito parte del mutar delle stagioni, delle vibrazioni della terra, del regno animale.
In seguito i romani portarono le loro tecnologie nuove e una nuova lingua. Popolazioni attraversarono quello che allora non era ancora chiamato né Südtirol né Alto Adige. Poi i francesi, i tedeschi, l’opzione, l’italianizzazione. La grande guerra. La fame. I tirolesi e i ladini vennero divisi. Uomini di spessore portarono avanti progetti lungimiranti, una popolazione compatta credeva in loro. La bellezza dei luoghi portò qui prima esploratori, e poi intrepidi arrampicatori e divertiti sciatori che hanno fatto delle nostre piste le strade del loro buonumore.
Una parte del mondo, il nostro piccolo mondo, aveva trovato la pace. Sembrano passati tanti anni, ma di mezzo c’è solo una generazione, o poco più.
La frenesia del voler strafare (l’aver confuso il troppo denaro con lo star bene) ha modificato genti e classi dirigenti. Non bastava più costruire. Via via che gli anni passavano, si continuava a deturpare, a beatificare l’ingordigia, a creare brutture. Lo spettro della povertà era vinto, ci si poteva concentrare su altro: a disfare storie di uomini valorosi, a distruggere importanze architettoniche per lasciare posto a clientelismi di ogni sorta. I vantaggi elargiti ai singoli andavano a privatizzare i guadagni. Gli irrimediabili danni sono davanti ai nostri occhi, ferite che non guariranno più.
Le bugie e gli inganni, il depauperamento continuo e sconsiderato di quella che una volta era la simbiosi perfetta tra uomo e natura, il paesaggio, sembra non avere fine. Le forti lobby economiche, i rimbalzi dei giochi di potere, i radicalismi di quella che viene scambiata dagli estremisti – testoni di rara fattura – per voglia di identità, viene giustamente percepita dagli uomini di valore come identità posticcia, anacronistica, dannosa.
L’attuale classe politica regnante ha nel suo credo il labile e l’effimero; porre il dogma più in alto del ragionamento e della visione è deleterio per un presente che potrebbe essere fatto di bellezza. Ma dov’è finita la saggezza dei Glauber, dei Langer, sì, anche dei Silvio, Magnago e Bassetti?
Lo Zeitgeist, lo Spirito del tempo che forte soffia da oltreoceano ci giunge come lieve brezza. Non viene percepito come nuovo vento, ma come futile insegnamento. Vedono chiaro e bene su questo giornale il direttore Enrico Franco (editoriale di ieri) e il saggio Florian Kronbichler (editoriale di domenica scorsa).
Davvero l’insegnamento giunge solo a indicare la via e il viaggio. Ma colui che non avrà voluto vedere non avrà visioni.
Non per questo possiamo starcene con la bocca chiusa; anzi, abbiamo il dovere specifico di aiutare a conoscere, amare e attuare la verità. Il nostro piccolo mondo ha bisogno di cura e attenzione nel corpo e nell’anima. Questo i regnanti non l’hanno capito. La sensibilità del capotribù cacciatore – non per fame – e dei suoi uomini è per loro un optional che a nulla serve.
Vengono tollerati i veri visionari, ma la tolleranza è una fase di passaggio, dovrebbe portare al rispetto. Tollerare è offendere. Con le loro leggi e leggine – scritte, riscritte e modificate – continuano a offendere. E a zittire.
Ora però, a furia di gridare, si è fatta secca la mia gola; ma il nostro tempo e i nostri desideri valgono come le Dolomiti per la nostra Terra. Eppure io ho ancora voglia di incantarmi davanti al contadino che falcia l’erba; ho voglia di credere che le cose cambieranno, ho voglia di credere che i pessimi diventino più discreti e silenziosi, tramutando i loro esibizionismi in più sensibilità, in una carezza per l’anima. Nella vita sono poche le cose facili, ma molte sono le cose possibili.

michil costa, Corriere Della Sera – Inserto “Il Corriere Dell’Alto Adige”, mercoledì 24 febbraio 2010