Ruspe – UNESCO: uno a zero. Mi riferisco in particolare al simbolico funerale celebrato ieri per il Mont de Antersasc in Val Badia, ove la Provincia ha autorizzato una nuova strada di penetrazione che viola un territorio sinora ad accesso limitato. Sotto la regia del mite ma indignato Michil Costa, noto albergatore  di Corvara, molte persone si sono ritrovate a sottolineare che in questo modo nell’estate 2010 veniva colpita a morte un’area antica di 250 milioni di anni, ennesimo spregio di quella tutela che l’UNESCO ha espresso nei confronti delle Dolomiti, annoverandole tra il Patrimonio dell’umanità.

            Se il lato Nord della Plose piange, quello meridionale non ride. Pensiamo ai quattro alberghi da mille posti letto complessivi che verranno realizzati a mezza costa sopra Bressanone. In una cittadina che solo ad agosto e intorno a Pasqua e Natale registra il tutto esaurito, migliaia di cittadini hanno firmato contro tali realizzazioni che avvantaggiano (forse) pochi ma danneggiano (di sicuro) molti. Il loro appello è caduto nel vuoto, grazie all’astuzia di politici che confidano nella poca memoria degli elettori.

            Eppure sempre più persone sono esasperate per la leggerezza con cui si annullano milioni di anni di quel lavorio con cui la natura ha plasmato il nostro ambiente vitale. E capiscono che mettere in pericolo l’ambiente vitale, significa esporre a rischi esiziali l’uomo stesso. Certo, mi pare già di sentire il Presidentissimo obiettare: “Ma una strada o qualche albergo non mette certo in crisi il futuro del genere umano, anzi creano posti lavoro in questa epoca di crisi!” Osservazione di sicuro seguita da una grassa risata. Una strada e quattro alberghi in sé no. Il problema è però il trend che si segnala, la quantità di realizzazioni discutibili che vengono poste in essere. Per non parlare del tunnel del Brennero e di altre idee faraoniche.

            La malattia, tuttavia, non è solo altoatesina. Lo vedo purtroppo anche in Val di Non, dove mi trovo in vacanza. Diversi nuovi sentieri hanno spazzato via alberi vetusti e solenni. Sono stati ricoperti da un ghiaino di non si sa bene dove, che toglie ogni contatto con i morbidi aghi di pino, con le cortecce aromatiche. AI bordi è stata eliminata la vegetazione spontanea, sostituita da una insignificante erbetta stile prato inglese. Molti tratturi vengono rettificati, distruggendo cespugli, arbusti e muri a secco che offrono riparo a piccoli mammiferi, rettili ed uccelli. Potrei elencare tutta una serie di campi da pallone in eterna costruzione, di impianti sportivi (piscine, campi da tennis ecc.) realizzati e solennemente inaugurati, ma ora sconsolatamente abbandonati. La gente è delusa. Molti turisti, visto l’andazzo, minacciano di non tornare più nei nostri luoghi e di cercare altre località, più rispettose dell’ambiente.

Come se non bastasse, questi attentati all’ecosistema si verificano nel 2010, anno che l’ONU ha dedicato alla biodiversità. Certo, si può vivere anche senza negritelle, gigli martagoni, aquile e marmotte. Ma cosa può sostituire l’emozione provocata da simili inattesi e piacevoli incontri? Non credo alle profezie catastrofiste dei Maya circa il 2012. Ritengo tuttavia che stiamo accelerando su una china pericolosa, eliminando sempre più paesaggi ed ecosistemi unici, non più ricreabili.

Preservare la natura è un dovere morale ma anche un investimento di futuro, che ha un suo ritorno economico. Le persone vanno volentieri in luoghi incontaminati, anche se ciò comporta un certo sforzo e sacrificio. La conquista faticosa di un bel panorama, di un bosco incontaminato, di una cima con vista mozzafiato insegna che la vita è anche fatica. Se altri popoli, come i cinesi, ci stanno soppiantando in tanti settori, è anche perché noi siamo diventati comodi, pigri: vogliamo arrivare in auto sulla vetta, sui passi dolomitici, sui campi da sci e trovarvi un’innevazione perfetta grazie ad adeguato cannoneggiamento. La natura ha una bellezza selvaggia ed impegnativa. Violandola, asfaltandola e cementificandola non facciamo solo una violenza a essa, quanto a noi stessi, segando spensierati il ramo su cui stiamo seduti.

Paul Renner, Corriere dell’Alto Adige, 8 agosto 2010