Sembra un paradosso ma non lo è: lo smembramento del Parco Nazionale dello Stelvio, le cui competenze sulla gestione passano dallo Stato alle amministrazioni locali (Lombardia, Trento e Bolzano) non segna una vittoria per il sistema Südtirol ma ne indica al contrario una italianizzazione nel metodo…

Non temo di offendere gli amici italiani: loro per primi ammirano il nostro Südtirol, la sua bellezza, la qualità della nostra vita e l’eccellenza del servizio pubblico, in linea con le grandi democrazie nordeuropee e scandinave. Loro per primi avvertono la differenza in positivo quando sono qui da noi e ci considerano un modello. E ora che succede? Semplice: la SVP, il partito di maggioranza che qui regna dal 1945, ha barattato l’astensione dei suoi parlamentari in occasione del voto di fiducia il 14 dicembre scorso con lo smembramento del Parco dello Stelvio. Con un rigore intellettuale alla Scilipoti, lasciatemi dire.

Quali sono i miei timori? Uno: il “metodo Antersasc”. Ossia costruire, cementificare, imbruttire: in una parola gettare al vento il nostro patrimonio. Sottolineo “nostro” per ricordare ciò che mi gridò il presidente Durnwalder qualche mese fa mentre dimostravamo pacificamente contro l’inutile strada di Antersasc: “questo posto non è mica tuo”. No appunto, ma neanche suo. E nemmeno degli speculatori. È di tutti noi. E c’è un’altra cosa che accomuna il caso Stelvio a quello Antersasc: la non conformità alle regole. Non a caso il TAR ha accolto la sospensiva sulla strada oggetto di contesa, mentre molti già fanno notare come lo smembramento del Parco sia in contrasto con la Costituzione, che affida allo Stato e non alle amministrazioni locali, la tutela dell’ambiente. Insomma questa bassa manovra non ha nulla del rigore austroungarico, nulla dell’integrità ladina e nulla nemmeno del buonsenso italiano, che comunque aveva tenuto insieme e finora protetto questo parco che è (era) il più grande dell’arco alpino con i suoi 135 mila ettari estesi su 24 comuni.
Il rischio è ora che questo patrimonio naturalistico, vanto italiano fin dalla sua costituzione nel 1935, e che contiene decine di ghiacciai, duemila specie di fiori e piante, cervi, caprioli, marmotte, camosci, stambecchi, aquile reali e gipeti, venga messo al sacco. Il rischio non è solo l’introduzione del permesso di caccia nel parco ma più in generale lo “sviluppismo”, il consumo sfrenato del territorio come abbiamo visto fare ad esempio in Valfurva, dove si colse al volo l’occasione dei Mondiali per aggredire il territorio.
Contro questa decisione si sono alzate le voci di Giulia Maria Mozzoni Crespi presidente del Fai, di Legambiente, Italia Nostra, Club Alpino Italiano, del Fondo Ambiente Italiano, Federparchi, Italia

Nostra, Legambiente, Lipu, Touring Club Italiano, Wwf Italia. Pure la ministra dell’Ambiente Prestigiacomo era contraria alla decisione.
Non voglio avere pregiudizi, nonostante il “caso Antersasc”, contro re Durni che pure qualcosa di buono in questa regione l’ha combinato: aspettiamo di sapere quali linee guida verranno seguite e quali saranno le strategie di valorizzazione di questo grande patrimonio naturalistico. Io un modello in mente ce l’ho, è il Parc Naziunal Svizzer (mi piace il suono romancio), esempio in tutta Europa di rispetto della natura e della biodiversità, oltreché di ottima amministrazione: mi auguro che i nuovi responsabili del Parco vorranno andare a visitare una realtà che brilla per la propria eccellenza. Per quel che mi riguarda sono pronto ad organizzare questa spedizione e farne parte. Chissà che non ne nasca un bel gemellaggio.
Difendiamo la nostra natura, difendiamo il nostro Südtirol. Ricordiamoci che abbiamo bisogno di uomini veri, non di showmen dalle tante vanità che soddisfano qualcuno ma ledono alla collettività e che giocano a monopoli con il nostro territorio. Antersasc, lo Stelvio, i nuovi scempi a Sesto Pusteria: territori che non sono mica tuoi, caro il nostro Landeshauptmann.

michil costa