ROMA – Per avere un’idea dell’imponenza, quindi del successo della manifestazione basti pensare che da quando c’è il colpo di pistola d’avvio a quando l’ultimo partecipante fa scattare il “bip” sul tappetino del cronometraggio Datasport sotto lo striscione del via, passa qualcosa come come 36 minuti e rotti. Un fiume immenso di ciclisti e di facce felici.
Perché la Maratona dles Dolomites non è solo e semplicemente un richiamo agonistico; è il richiamo più primordiale ed affascinante che c’è per “l’homo tecnologicus”. Il richiamo della natura più bella: le cime delle Dolomiti (divenute da qualche tempo patrimonio dell’umanità Unesco) e del confronto con se stessi, la fatica, i propri limiti.
Sentire e sentirsi. Fuori dalle angoscie e dallo stress di tutti i giorni. Qui non si bara. O almeno non si dovrebbe barare, anche perché in questa edizione, assicurano gli zelanti organizzatori, ci sono stati i controlli perfino alle 5 di mattina. A sorpresa. E se alla fine non ha vinto il solito ex professionista nebuloso, ma un avvocatino trevigiano – Giuseppe Sorrenti Mazzocchi – che studia da procuratore, neofita della bici e se – come dice – sono solo tre anni che pedala, forse il segnale dato è quello giusto. Ma poco importa se il veneto ha chiuso il percorso dei 138 durissimi chilometri in poco più di 4he 33 minuti, che è un gran bel pedalare. L’aspetto agonistico non è la cosa più attraente qui nella valle dei Ladini. Quello che
importa è che per un giorno le due ruote a pedali sono state padrone delle Dolomiti. In un’atmosfera unica, indescrivibile: l’alba rossa del Sasso Croce, con i raggi del sole che forano il chiarore; il suono ancestrale dei tamburi al via, la musica e poi il silenzio; le strade tutte rigorosamente chiuse al traffico; il fruscio delle ruote, il respiro del vicino che suda e fatica con te. Come te. Qui non c’è spazio per il mondo della diseguaglianza e dei privilegi.
“Sei solo con la tua bici, con te stesso e con la montagna che diventa parte di te stesso – dice Michil Costa eccentrico e coltissimo “patron” della manifestazione giunta alla 25° edizione – un’aspirazione all’eternità nella quale chi partecipa realizza un personalissimo sogno”. Per dirla con il Poeta: “intender non lo può chi non lo prova”. Non è poco. E forse è proprio questa semplicità e questa “onestà” di fondo la molla principale che attira migliaia di appassionati. Anche se qui si fatica. Eccome se si fatica. Anche se si suda e si “smadonna” magari per un rapporto sbagliato alla catena o il poco tempo dedicato alla necessaria preparazione. Come che vada a finire, vinci, ti piazzi o arrivi ultimo: alla fine il primo pensiero è “il prossimo anno voglio riprovarci”. Lo potevi leggere sulle facce sorridenti dei ciclisti alla partenza e in quelle un po’ meno distese all’arrivo. Sono sensazioni che non si nascondono. E che hanno provato tutti i 8.798 partiti (di cui 735 donne) e ancora più i 6640 arrivati: un record se si tiene conto che si tratta dei “fortunati” che sono riusciti ad ottenere un pettorale fra le 28.000 richieste.
Cosa avrà mai di speciale questa manifestazione per essere considerata la “regina” delle gran fondo a cui la Rai dedica addirittura una diretta di ben sei ore? Chi scrive può essere considerato un veterano della Maratona, un precursore avendo partecipato (e raccontato) già alla seconda edizione. Correva l’anno 1988 e il percorso era molto più lungo e duro con il Giau da Cortina in finale di gara e la Marmolada da Malga Ciapela: 210 chilometri e oltre 5.000 metri di dislivello. Al via poche centinaia di appassionati, per lo più stranieri. Ma il fascino dell’impresa e la bellezza dello scenario erano già tutte presenti. La manifestazione non poteva che crescere. Il successo è venuto con la moda degli ultimi anni che ha mosso anche la tv. Adesso la Maratona è divenuta di gran lunga l’attrattiva turistica più forte di queste località. Una “locomotiva” molto più potente della gara di Coppa del Mondo sulla Gran Risa a La Villa. “Per venire da noi – spiega Christian Pizzinini, zelante portavoce della manifestazione – il viaggio è lungo. Dobbiamo dare il meglio della qualità per invogliare la gente. E cerchiamo di farlo con misura”.
Un patrimonio di tutti, dunque, da difendere dall’assalto del consumismo di massa e dalla mercificazione pura e semplice. Sarebbe un peccato rovinare questa piccola oasi di felicità ciclistica. E giustamente Michil Costa, il “filosofo” della Maratona, vorrebbe più severità nelle restrizioni al traffico; più difesa del territorio dall’assalto di auto e moto e vetture; più spazio per quella comunione uomo-natura che è di per se vita. Una strada difficile perché contemperare tanti diversi interessi è un’impresa. Ma l’unica percorribile.