Gli sforzi (immotivati) per gare amatoriali e imprese da raccontare

I piccoli si dopano? Qualcuno potrebbe dire: be’, imitano i grandi. Ma c’è una misura extra di tristezza, nel sapere che la Maratona dles Dolomites – scenario spettacolare, spirito amatoriale, festa collettiva – ha assunto il vizio assurdo del ciclismo professionistico.

Nel 2010 è stato squalificato il vincitore. Quest’anno venticinquesima edizione, si è corso lo scorso 10 luglio: per ora siamo a tre «non negatività» su dodici controlli (traduzione: positività al primo esame antidoping, in attesa delle controanalisi). Altri dieci partecipanti – leggiamo – sono stati convocati dalla Procura della Federazione Ciclistica Italiana, sospettati di aver evitato i controlli, di aver corso con dorsali contraffatti o sotto nome falso. «Esaltati alla Maratona dles Dolomites non ne vogliamo, ma non sappiamo più cosa fare per escluderli». Così si è sfogato Michil Costa, albergatore ambientalista di Corvara, organizzatore della manifestazione, uscendo dalla sua abituale «giornata del silenzio» (ogni lunedì).

Esaltati. Aggettivo impeccabile: solo l’esaltazione, infatti, può portare ad assumere sostanze proibite in una gara per dilettanti che non assegna premi in denaro (i vincitori tornano a casa con mele e speck). Ma forse è bene approfittare dell’occasione, e spostare lo sguardo dalla patologia alla fisiologia. Anche qui, infatti, qualche preoccupazione è d’obbligo. Sono reduce da dieci giorni di spostamenti continui tra le montagne del Trentino e dell’Alto Adige: ogni due tornanti, due ciclisti non più giovani, stravolti dalla fatica. Passo Gardena, passo Pordoi, passo Sella: in alto le Dolomiti sfavillano, esuberanti di bellezza; ma loro hanno occhi solo per l’asfalto. L’ammirazione, in questi casi, si mescola con la preoccupazione. Lo sforzo appare eccessivo e rischioso. Diciamolo: immotivato.

Eppure sono tanti, sempre di più. Alzi la mano chi non ha un amico cinquantenne preso da improvvisa, matta e disperata passione per la bicicletta, pronto a sfidare sciatica, buon senso e moglie per un’impresa da raccontare. La nuova mezza età non conosce vie di mezzo. È come se volessimo prendere per la coda la giovinezza che fugge; e per raggiungerla corressimo come non abbiamo mai fatto – neppure da giovani. Il ciclismo non è l’unico sfogo: i cinquantenni italiani, altrettanto spesso, diventano gourmet, giardinieri e golfisti. Attività insidiose per la bilancia, le ortensie e il portafoglio. Il ciclismo in dosi massicce mette a rischio le coronarie. I lutti, in questi mesi, si succedono, e noi veniamo a conoscenza solo dei casi e dei nomi più noti.

Lo sport – tutto – è meraviglioso, e l’attività fisica ci regala serenità: le endorfine conoscono il loro mestiere. Lo sforzo eccessivo e ossessivo ha invece qualcosa di nevrotico. Mi è capitato di osservare alcuni di questi atleti maturi e di trovarli robotici, mentre narrano o preparano le proprie imprese: come se fossero schiavi, e non signori, della propria passione. Certo: la maggioranza – crediamo, speriamo – non è disposta ad assumere sostanze proibite per quello che resta – comunque – un passatempo. Ma si sa: nelle cose umane, l’ossessione è inversamente proporzionale alla cautela.

Michil Costa si dice deluso, irritato e preoccupato: «Riceviamo ventottomila domande per la Maratona dles Dolomites , ne accogliamo novemila. Il mio timore è che chi viene ammesso voglia farcela a tutti i costi, anche se non è fisicamente all’altezza. E davanti alla prospettiva di uno sforzo gigantesco, si senta giustificato se ricorre alla farmacia proibita». Se fosse vero, sarebbe grave. Peggio: sarebbe tutto inutile. Inutile aver chiuso i passi al traffico a motore, in occasione della manifestazione; inutile aver dimostrato che il turismo timido attira e paga; inutile chiedere a quelle montagne speciali di fornire la scenografia per un copione tanto banale. Ricordino, i coetanei ciclossessivi: ci sono anche le mountain-bike elettriche e le lunghe passeggiate con un libro in tasca. Due cose – credetemi – che danno grandi soddisfazioni.

Beppe Severgnini, 12 agosto 2011, corriere.it