La Maratona delle Dolomiti, i furbi e i cinquantenni con il “vizio” del ciclismo. Dopo la provocazione del giornalista Beppe Severgnini sul Corriere della Sera, abbiamo condiviso con voi lettori di Arl pensieri e riflessioni.

Siamo partiti dalla notizia degli atleti “non negativi” trovati alla prova di Corvara per arrivare a un traguardo che risulta “scontato” per un cicloamatore vero: celebrare la bellezza del ciclismo, per la sua spiritualità e i tanti benefici che porta al nostro fisico, quando viene praticato con gradualità e buon senso, soprattutto da chi non è più giovanissimo.

Adesso ospitiamo il gentile intervento di Michil Costa, l’originale (e “spirituale”) patron della Maratona delle Dolomiti. E’ un innamorato delle sue montagne che vuole libere da ogni eccesso turistico (e… motoristico) ed è anche un profondo innamorato del ciclismo che vorrebbe lontano da ogni condotta antisportiva, dal buttare la borraccia a terra fino alla gravissima scelta di “dopare” la propria prestazione.

Facciamo allora spazio all’intervento di Costa, sempre “illuminante” e mai banale. Siamo sicuri che stuzzicherà in qualcun altro la voglia di partecipare a questo amichevole scambio di idee, sul popolo della bici e l’anima (vera, non nera) del ciclismo.

 «E’ pur vero che il destino ci appartiene, ma anche che il caso ci capita. Le disgrazie a volte, come per attrazione fatale, ci vengono addosso. Dobbiamo però riconoscere che ci è lasciata la massima libertà dello Spirito. Sta a noi non farne mal uso.

Limitare le nostre decisioni esclusivamente perché ci piace crogiolarci nel tepore dell’ “è sempre stato così” oppure del “non si può fare niente” è un ostracismo al cambiamento, è un sottrarsi a quel tanto di somma rettitudine che possiamo, che dovremmo, scorgere nell’alveo di noi stessi.

Comandare il pensiero, controllare la mente senza uno stralcio d’etica è, per me, al di fuori della più rudimentale preoccupazione estetica e morale. Detto ciò non siamo qui per giudicare, ma siamo consci dell’importante ruolo che giochiamo per tutelare la salute dei partecipanti alla Maratona.

Ben lungi dal voler insegnare qualcosa a qualcuno – Chekov diceva che gli intelligenti amano istruirsi mentre gli ignoranti istruiscono -, ben lontani dal mettere sul tavolo dei facili moralismi, non posso esimermi dal disapprovare certi comportamenti antisportivi.

Buttare la borraccia nel fiume è antisportivo, non partecipare alla premiazione è antisportivo. Ed è anche antisportivo far uso di sostanze che aumentano la capacità di rendimento. Non è questione dell’essere beccati o meno o di fare parte di quella parte del clan mica tanto vituperato dei furbetti. È antisportivo e basta.

Che alcuni non più giovanissimi estremizzino il lavoro e siano superattivi nello sport non sempre però avendone le capacità di tenuta, questo si sa.

Trovo perfino che sia antisportivo, anzi, ipocrita (ma in cuor mio spero sia solo ignoranza) che il numero uno del ciclismo italiano partecipi al giro della Padania dichiarando “qui la politica non c’entra”. Più che caduta di stile è una scivolata molto in basso.

Gli sportivi vengono emulati, sono educatori, portatori di valori e sani principi.

Noi della Maratona veniamo seguiti, letti e giustamente criticati se non riusciamo a dare delle direttive, a sensibilizzare, a organizzare dignitosamente quello che ci si aspetta da noi.

Premesso ciò sono convinto che la maggior parte degli oltre 50 si affidi a bistecche e carboidrati e a un buon rosso e non faccia uso di motorini supplementari, interni o esterni che siano.

Sono persone – io tra questi – all’apice della loro vita, con un fisico che “tiene”, una testa matura ma non ancora invasa dalle ragnatele, una situazione economica (vogliamo sperarlo) soddisfacente, uno spirito tahitiano.

A Tahiti dicono infatti “voi avete gli orologi noi il tempo”. Riusciamo a disporre meglio del bene più importante – del tempo appunto – rispetto a prima, godendo dei risultati raggiunti nel lavoro, nella famiglia, nello sport. Sono, siamo coloro che sanno che lo sport non deve essere competitività spinta all’estremo, ma perché il risultato ultimo è quello dello star bene, con se stessi e quindi con gli altri.

Nella vita ognuno combatte la sua battaglia personale, ma ognuno, e non solo da buon ciclista, ha la possibilità di tirar fuori dal cassetto della sua cattedra della vita la ricerca di Bellezza e Verità, il rispetto, l’amore.

Per pensare bene non è mai troppo tardi; a cinquant’anni ci si può anche permettere di alzare la testa ogni tanto, giusto per capire dove sono gli avversari, i compagni di squadra, o, chissà, per scorgere qualche guglia dolomitica. Cime che, vogliamo auspicarcelo, ispirino e inducano tutti alla riflessione».

Michil Costa

www.aruotalibera.it, 09/09/2011