I paesaggi del vino, dal Südtirol alla Sicilia passando per il Veneto, la Toscana, la Puglia, sembrano assorbire le molte bruttezze che troviamo ovunque oramai. Brutture che non vengono per fortuna interiorizzate dai nostri turisti che arrivano in Italia per la prima volta. Vedono la Bellezza (come diceva Goethe, l’ospite più gradito) delle colline toscane, delle nebbie delle Langhe, della collina di Santa Maddalena sopra Bolzano. Guardano oltre le cementificazioni, si abbandonano a quelle dolci visioni, ne restano intimamente affascinati. Dei paesaggi e della qualità del vino.
Chi ha memoria dei luoghi però, non può non notare il cattivo gusto imperante, e chi ha memoria nemmeno dimentica la bassa qualità dei vini prodotti quasi ovunque, e non molto tempo fa; poche erano le eccezioni.
Grandi uomini hanno reso grande il mondo del vino italiano. Penso d’istinto ai Marchesi Antinori e Frescobaldi, al marchese Incisa della Rocchetta, all’amico Angelo Gaja. Ma anche ai “profondamente naturali” Josko Gravner, a Radikon, al nostro Alois Lageder e alla sua produzione biologica.
Loro sono andati avanti, visionari, proponendo qualità, credendo in quel che facevano, combattendo l’alimentazione “contro natura”. Spesso anche opponendosi alla violazione degli equilibri ambientali, penso ancora a Gaja e alla sua magnifica cantina in Toscana, gioiello architettonico perfettamente integrato nel territorio; uomini che hanno sensibilizzato altri uomini al rispetto dei frutti della terra. I cattivi vini sono alimenti cattivi, derivanti da alchimie innaturali a cui il nostro organismo si ribella. Non possiamo essere più sani di quel che mangiamo e beviamo, la natura da sempre fa parte del “grande cerchio della vita”, anche se ogni tanto tendiamo a dimenticarlo.
Nonostante tutte le brutture che sono “fiorite” un po’ ovunque, in Italia è migliorata la qualità dei vini e soprattutto si è scoperto il rispetto per il nostro prodotto. Brutture e qualità, non è un controsenso?
In Italia ci sono 25.000 artigiani-produttori, centinaia di cantine che organizzano premi giornalistici, decine di guide che analizzano i vini. Congressi dei vini, turismo del vino, le donne del vino e il vino in terrazza, vino alla tivù, vino su twitter e facebook. Il mondo del vino sprizza, analizza, giudica, dà allegria, fa gola ai politici, alle associazioni turistiche, alla finanza che ci entrerà, agli americani e non solo agli aficionados del guru Parker e del semi-toscano James Suckling, agli inglesi che più di tutti e da sempre commerciano in vino, ai francesi che si credono gli inventori del vino ancor prima dei romani e dei greci (!), ai cileni che fanno buon vino a tre dollari. Chi non parla di vino è out. Il vino macina pecunia. E la pecunia, a differenza del vino cattivo, non olet, non puzza.
La grande industria del vino ha molto sofferto, anche se si fa fatica ad ammetterlo, la sovrapproduzione degli ultimi anni; una parte veniva mandata alla distillazione, ma la gran parte schiacciava al ribasso i prezzi delle uve e del vino all’ingrosso. Perché si doveva vendere, non c’era alternativa. Distruggere, come stanno facendo con i meloni in Puglia, o svendere. A pagarne le conseguenze sono chiaramente i viticoltori, costretti per forza di cose a mettere in saldo, in cantina dovevano far spazio all’arrivo della nuova vendemmia.
Con il 2011 la situazione cambia: è la vendemmia più scarsa di sempre. Risaliranno i prezzi delle uve; aumenterà anche il prezzo del vino di qualità in bottiglia? Le tante cantine che già operano sui mercati esteri ora dovranno provare a vendere meglio, ripensare le strategie di marketing, andando così a infilarsi nel segmento più ghiotto, quello che va dai 5 ai 15 euro di prezzo da cantina. La Francia l’anno passato ha esportato un volume del 50% inferiore a quello dell’Italia, ma ha incassato di più grazie alla qualità dei suoi vini.
L’Italia vende all’estero ad un prezzo medio due volte e mezzo inferiore a quello della Francia. L’Italia del vino e delle bellezze, può, deve farcela. I produttori devono rendersi conto che, oltre che sulla qualità, devono puntare sulla tradizione, sulla cultura, sulle varietà che solo noi abbiamo, sul fascino, ripeto, sul fascino dei territori. Assieme alla qualità dei nostri vini, che pure è migliorata, serve una più profonda presa di coscienza. Prima che ai ristoratori, tocca ai 35.000 produttori. Il Vinitaly, sotto questo profilo, è una fantastica occasione per dimostrare che, oltre al vino buono, noi vendiamo anche – e soprattutto – l’italica bellezza.
michil costa