E’ passata praticamente sotto silenzio, almeno in Italia, l’ennesima autoimmolazione di Tamdrin Thar, 50enne tibetano che si è tolto la vita venerdì 15 giugno davanti ad un campo paramilitare della polizia popolare cinese nella contea di Jianzha, in tibetano Chentsa. Quello di Thar, pastore nomade, sarebbe – secondo la direttrice di Free Tibet, Stephanie Bridgen – un chiaro gesto di protesta contro le regole imposte dalla Cina alla minoranza, un gesto estremo commesso davanti ad un simbolo dell’occupazione del Tibet. Venerdì centinaia di tibetani hanno protestato fino a sera per la restituzione del corpo di Thar, che la polizia aveva prelevato dopo aver spento le fiamme. Il cadavere è stato successivamente consegnato ai parenti del pastore suicida.
Quella di Tamdrin Thar è la 38esima autoimmolazione dal 2009. La maggior parte di queste sono avvenute negli ultimi 18 mesi. Una strage perpetrata praticamente nel silenzio dell’opinione pubblica internazionale. “L’Unione europea è molto preoccupata per l’aggravarsi della situazione in Tibet – ha detto nei giorni scorsi l’alto rappresentante per gli affari esteri dell’Ue, Catherine Asthon – ed in particolare per la politica cinese di sistemazione dei pastori nomadi”. Le autorità cinesi sono invece tornate ad accusare il Dalai Lama di incoraggiare le autoimmolazioni, quando è viceversa noto che il leader in esilio ha pubblicamente condannato i gesti estremi dei suoi connazionali, auspicando solo il bene per il popolo tibetano.