di Eugenio Capodacqua

CORVARA – “Si stanno sgretolando”, con un sorriso amaro, Michil Costa, deus ex machina della Maratona dles Dolomites, la più importante e meglio organizzata manifestazione del cilismo amatoriale d’Europa, guarda le sue montagne  nel sole abbacinante di mezzogiorno. E’ scalzo (“di queste scarpe ce ne sono quante ne vuoi e non costano nulla”, sorride). Sorseggia un calice di buon bianco che gli deve sapere di amaro, almeno quando riflette: “Non ricordo un caldo così da queste parti. Il permafrost si sta sciogliendo; la Marmolada si sta sciogliendo a velocità incredibile. Sta sparendo; si pensava i tempi fossero più generosi, invece va tutto a velocità doppia”. Il permafrost è il ghiaccio che tiene insieme le rocce friabili delle Dolomiti. Sciogliendosi, la montagna si sgretola. Diventa polvere. E se solo una volta nella vita si è visto il sole nascere deitro le cime rosa della Val Badia si può capire benissimo di quale delitto si tratti. Ci sono molte ragioni per mettere in piedi una macchina così imponente e mastodontica come quella della Maratona, la “regina” delle gran fondo. La prima per l’eccentrico, ma profondo Michil è dare un segnale, l’ennesimo allarme su cosa sta succedendo. “Noi forse ce la faremo, ma i nostri nipoti…” L’altra ragione è l’aiuto umanitario che da anni ormai è un chiodo fisso per i laboriuosi ladini dell’Alta Badia. Scuole, ospedali, corsi di formazione in Africa, l’elenco è lungo e puntuale. I progetti con aiuti ad Assisport Alto Adige, l’Associazione Gruppi insieme si può onlus /ONG e il sostegno scolastico in Togo.
E allora quando ti allinei in silenzio nell’affollata griglia di partenza  sei uno che ha già vinto perché hai dato il tuo piccolo contributo anche alla crescita dell’umanità più povera e disagiata. E poco importa se i primi, quelli ossessionati dalla prestazione, scattano via a tutta oppure se attorno ti pedala la fitta schiera dei “vip” o degli ex azzurri di nome. Poco importa se il cuore ti batte in gola mentre il Pordoi è ancora un puntino luminoso, lassù, con il rifugio che sembra la casetta di un presepe e tu nelle gambe hai senti già quella strana, ma ben nota dolenzia… “Speriamo di recuperare, altrimenti…”, pensi e rifletti, mentre spingi ostinatamente sui pedali. E confidi in questo sport meraviglioso che sa dare tantissimo a chi lo sa prendere per il verso giusto. Lasciamo stare quelli che vanno su ai 25-30 all’ora e piombano in discesa a 70-80. Quelli le montagne manco le vedono. Racconta l’amico Daniele che ha pedalato per quasi un’ora accanto ad un mito del ciclismo quale Miguel Indurain (cinque Tour e due Giri d’Italia nel fittissimo palmares…) come il navarro non avesse occhi che per le bellezze attorno: ci sarà passato chissà quante volte, durante le galoppate vittoriose nella corsa rosa: “Ma allora – spiega -vedevo solo pochi metri davanti alla ruota anteriore”. Va ancora forte il vecchio Miguelon, sorriso gentile e disponibilità signorile, come sempre. Un numero uno. E si è presentato con il rispetto che si deve alla montagna: asciutto, anche se – ovviamente – non tirato come quando correva; rispetto anche delle regole (l’esempio del casco perfettamente allacciato, al contrario di tanti “ex” supponenti…). Va, pedala, altro che. E fa da premurosa chioccia al figlio Miguel jr, alle prese con le prime vere fatiche ciclistiche.
Ma anche tu, comune mortale che ti sei allenato con scrupolo, almeno per rendere tollerabile la fatica, raccogli puntualmente quello che semini.  Il Sella ti mette alla prova sotto quei muraglioni neri, dove una banda di rumoristi con strani oggetti gratta-e-batti fa un baccano d’inferno. Scacciano gli gnomi cattivi della montagna, per te gli elfi della fatica e tu vai su, pedalata dopo pedalata, ascoltando il tuo cuore e i tuoi muscoli tesi. In cima? In cima. Non c’è prezzo per la soddisfazione che ti pervade. Può sembrare retorica, ma non lo è: provare per credere.  Dai, avanti, ancora una discesa, ancora una salita, ancora una discesa. Via, per quasi cinque ore; in mezzo a questo fiume di bici e di pedali. Nel sole, nel verde, nella natura che l’assenza di traffico rende quasi irreale: non ho sentito un lamento, non ho visto uno sgarbo “Scusa, grazie, pardon, occhio, …”. Ti superano con grazia ed eleganza. Qualcuno ti saluta. Piccolo particolare che può sembrare banale: sul numero c’è il nome e tu diventi subito uno di loro perché sei come loro e loro diventano subito tuoi confidenti.  Mi chiedo mentre sbuffo sulle ultime rampe del Gardena: “Ma perché  non riusciamo a far emergere questa umanità buona anche nella vita di tutti i giorni?”. Mah. A parte la piccola e fisiologica percentuale degli esagitati kamikaze che si buttano in discesa come folli rischiando di travolgere chiunque, il resto è solo gioia e sorriso. Aveva ragione Michil, una volta di più. Anche all’arrivo solo sorrisi e gioia; e sono le stesse facce, che pochi attimi prima vedevi contratte e con tutti i segni di una sanissima fatica arrancare verso l’arrivo. Ha vinto un certo Barrow, pedalando come una moto perfino sul durissimo Giau, ma poco importa. Ha vinto la Maratona dles Dolomites, la Maratona del sorriso.

da capodacqua.blogautore.repubblica.it