Non ne posso più, mi fanno male le orecchie! Il rombo infernale delle moto che salgono a tutta velocità trasforma i passi dolomitici in una pista da corsa, altro che Patrimonio dell’Umanità! Patrimonio di cosa? E di chi, soprattutto?
Dal 1999, in Europa per le moto è in vigore il limite degli 80 decibel. Sono tanti, equivalgono al rumore che fa un grosso camion, tanto per intenderci. Un aereo in partenza ne raggiunge 120, a distanza ravvicinata, rischia di provocare danni permanenti al nostro organismo. Adesso immaginate una Ducati in piena accelerazione, a pochi metri dalle pareti delle nostre montagne!Sì, lo so, c’è chi mi risponderà: che siamo già pieni di divieti, costrizioni, regole, leggi e leggine. Che la moto è un simbolo di libertà. Certo, anch’io una volta amavo andare in moto, anzi, la mia è una malattia di famiglia: mio padre qui sotto l’albergo, ne custodisce un bel po’ di motociclette d’epoca… Ma una volta i motociclisti arrivavano da lontano, con i loro borsoni e la voglia di godersi pacificamente un paesaggio unico. Sognavano il giovane Che Guevara e i suoi diarios de motocicleta. Certo, ce ne sono ancora di motociclisti dotati di sensibilità. La maggior parte però, sono centauri selvatici che – con una concezione dell’emancipazione tutta loro – tolgono a me, abitante delle Dolomiti, la libertà di starmene in pace. I più arrivano con le moto sui carrelli ed un kit per montare un tubo di scarico che li renda parte del “branco”. Sono diventati degli automi, comunicano con i loro simili attraverso il rombo e la potenza del loro bolide e sono spinti da una pseudo-cultura tutta loro. E soprattutto, non hanno nulla a che fare con questi luoghi, di natura, di silenzio, di bellezza.
Quello al quale assistiamo tutti i giorni, sulle Dolomiti, è un horror-motor-show: scorrazzano maleducati e arroganti, a occhi bassi; macinano chilometri nella loro convulsa inquietudine inseguendo solo la lancetta del tachimetro, per poi pavoneggiarsi la sera, davanti ad una grande birra. E pace all’anima di chi alla sera non c’è arrivato, perché anche questo succede: i motociclisti, su queste curve, non di rado si ammazzano.
La mia domanda è: chiudere i passi a fasce orarie può essere una soluzione? Vogliamo in ogni caso, limitare l’accesso a questi luoghi così delicati? Proprio perché le montagne non sono nostre, tutti devono potervi circolare, nel rispetto dell’altro. Raduni di auto sportive, convegni di trattori della Grande Guerra, camper, pullman che scaricano anziani a godersi questo panorama dopo una vita di lavoro. E le biciclette: sì, ci sono anche i ciclisti, che salgono fino al Passo Sella per respirare un aria più inquinata di quella di Milano. C’è di tutto e di più.
No, il mio non è un autodafé. Voglio solo riprendermi le Dolomiti. Abbiamo tutti diritto ad una proprietà collettiva, ad un ambiente condiviso, ma solo se questo è inserito in un contesto di valori che contempli soprattutto il rispetto reciproco. Una limitazione del traffico veicolare sui passi, garantendo in ogni caso l’accessibilità tramite shuttle e impianti di risalita, può essere una soluzione?
E come facciamo – direte Voi – se da Monaco di Baviera arriva una giovane coppia con una Vespa carica di sogni d’amore e a Colfosco trova il Passo Gardena chiuso? Attenderanno qualche ora che il Passo riapra – rispondo io –, non sarà mica una costrizione?
Ma quello che penso io è poco importante. A me interessa trovare una soluzione! È in ballo il destino di queste montagne, dei loro abitanti, ma anche di chi le vuole visitare. Ci siete in ballo Voi, amici miei.
Giulan, grazie, Michil Costa
Alto Adige, 28 agosto 2013