Allora è proprio vero, il calcio è lo specchio fedele dell’Italia. La sua classe dirigente, mediocre e politicante, inetta, provinciale e analfabeta, ben rappresentata dal nuovo presidente della Federazione Carlo Tavecchio, è la stessa che si trova in Confindustria – per anni abbiamo avuto un primo ministro che era anche presidente di un club.

Le cause del declino del calcio italiano sono le stesse che affliggono il nostro Paese. L’orribile calcio italiano che si consuma tra risse, interrogazioni parlamentari e spettacoli ignobili, ci riguarda tutti, e molto da vicino.
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Ai mondiali la figura è stata pessima, non solo dal punto di vista dei risultati, ma anche per via delle patetiche scene post eliminazione improntate sullo scarica barile generale. Cosa che avviene puntualmente in qualsiasi ambiente politico di fronte a un problema, una calamità, un’assunzione di responsabilità. Nella lista dei 23 migliori giocatori selezionati per il Pallone d’oro non c’è un italiano. Altrettanto accade in sede di Parlamento europeo: abbiamo sì qualche rappresentante di facciata, ma nelle commissioni che contano siamo completamente tagliati fuori. Il giro d’affari delle nostre squadre più importanti é distante da quello dei grandi club europei. Anche la Francia, in quanto a volume di affari complessivo della serie A, ci sta superando. Lo stesso avviene nelle graduatorie dei paesi che fanno parte dell’Unione europea: siamo in piena zona retrocessione. I nostri stadi, Juventus a parte, sono fatiscenti, scomodi, inospitali, brutti, al punto che il pubblico diminuisce ogni anno di più. Violenza, degrado, mancanza totale di cultura sportiva fanno il resto. E la stessa violenza, lo stesso degrado, la stessa incultura si abbatte sul nostro patrimonio artistico, da Pompei alla tutela del territorio, che negli ultimi vent’anni ha subito una cementificazione più che raddoppiata. Allora è proprio vero, il calcio è lo specchio fedele dell’Italia. La sua classe dirigente, mediocre e politicante, inetta, provinciale e analfabeta, ben rappresentata dal nuovo presidente della Federazione Carlo Tavecchio, è la stessa che si trova in Confindustria – per anni abbiamo avuto un primo ministro che era anche presidente di un club. E come la nostra classe politica, chi dirige il mondo del pallone non sa coltivare una benché minima idea di futuro, arroccata com’è nella speculazione, nell’interesse del particolare, nell’affare di bottega. È una classe dirigente, quella del pallone, che ha perso tutti i treni possibili a livello nazionale ed europeo. Quando aveva ancora un minimo di credibilità e di risorse da spendere, agli inizi degli anni duemila, avrebbe dovuto improntare una politica di rinnovamento delle strutture, costruendo stadi nuovi e moderni al posto di quegli obbrobri costati una fortuna per il Mondiale di Italia ’90 e avallati solo per rubare denaro pubblico. Quando ancora aveva un minimo potere a livello mondiale, per risanare i bilanci doveva improntare una politica che attirasse capitali dall’estero o puntare sull’azionariato popolare come hanno fatto in Spagna. Quando aveva ancora un minimo di capacità gestionale doveva puntare sui vivai e i settori giovanili, chiave di ogni successo di club e nazionale invece di far man bassa spesso e volentieri di mezzecalzette dal nome esotico. Basta guardare Bayern o Barcellona per rendersene conto. Invece le nostre scuole calcio, un tempo vanto e copiate come modello in tutta Europa, sono andate distrutte, proprio come la politica ha distrutto la suola pubblica. La corruzione e l’evasione fiscale sono l’unico credo possibile, come accade del resto in tutto il Paese. Quante analogie tra calcio come sistema e sistema Italia. Basta ascoltare le grida che s’innalzano dagli stadi o dagli spalti televisivi e confrontarli con quelli che registriamo quotidianamente dalle tribune politiche per capire che l’Italia è andata proprio nel pallone.

Michil Costa, Alto Adige, 13/11/2014

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