Il barcone terra sul quale navighiamo fa acqua da tutte le parti. Al punto che, in pochi decenni,  rischiamo di non averne più nemmeno una goccia per soddisfare il nostro fabbisogno quotidiano. Del resto, c’è poco da sorprendersi, noi esseri umani ci siamo letteralmente specializzati nell’inquinare, dissipare e consumare a sproposito la risorsa più preziosa che abbiamo. Che altro non è che l’acqua, come ci hanno insegnato – inutilmente – già alle scuole elementari. Con i rubinetti a secco, si prospettano anni bui, con possibili conflitti non solo per il petrolio, ma anche per l’approvvigionamento e il controllo delle risorse idriche. Il Botswana, la Cambogia, il Sudan, la Repubblica araba siriana ma anche l’Ungheria, il Lussemburgo e i Paesi Bassi ricevono tutti più del 75% dei loro approvvigionamenti idrici da corsi d’acqua che nascono dai loro vicini. Quasi il 40% della popolazione mondiale dipende da sistemi fluviali comuni a due o più Paesi. L’India e il Bangladesh litigano sul Gange, il Messico – illuminante a questo proposito è il film H2Omx – e gli Stati Uniti si contendono il Colorado. In Europa il Danubio si sta prosciugando. gangeUn’altra zona “calda”, da questo punto di vista, è l’Asia centrale, dove varie repubbliche ex sovietiche duellano per dare il “colpo di grazia” a diversi corsi d’acqua già troppo sfruttati. Per non parlare del Medio Oriente, zona in cui le dispute sull’acqua stanno condizionando gli scenari politici e il futuro dell’economia.  E in Cina non va certo meglio: i nipoti di Mao, oltre a massacrare il povero fiume Giallo, lo vogliono controllare lungo tutti i suoi 5 mila e oltre chilometri. In Tibet saccheggiano e violentano per avere il dominio sulla popolazione, ma anche per assicurarsi alla fonte la supremazia su una delle riserve idriche più importanti del mondo. In Egitto il controllo del Nilo è d’importanza vitale. Lo stesso vale per l’Eufrate o per le acque del Giordano. Basta seguire il corso dell’acqua: una guerra dietro l’altra, si fa il giro del mondo.

E noi che facciamo? Niente, è ovvio. Nonostante la gravità della situazione, le nazioni  continuano a deviare il corso dei fiumi, prosciugare e contaminare le fonti, in un gioco tanto assurdo quanto autolesionista. E la cosa più grave è che consumo delle risorse idriche e ingiustizia sociale vanno di pari passo. Dagli studi dell’istituto World Watch si evince che entro il 2025 due terzi della popolazione mondiale non avrà acqua a sufficienza e non avrà accesso alcuno a quella potabile.

In tanti sostengono che questa situazione sia semplice conseguenza dell’aumento della popolazione, ma la verità è che gli esseri umani consumano direttamente solo il 10% dell’acqua potabile del pianeta, mentre il 65% è utilizzato nelle grandi coltivazioni e il resto per altri usi industriali. Già oggi più di un miliardo di persone vive senz’acqua a sufficienza. Di queste, il 75% vive in Paesi in via di sviluppo. La crisi idrica è dovuta a un uso ipertrofico e scriteriato dell’acqua. E l’Italia non fa certo eccezione: un quarto delle nostre risorse idriche è puntualmente sprecato; ma,essendo le perdite della rete idrica sotterranea invisibili agli occhi degli elettori, non interessano agli amministratori.

Nel giorno in cui in tutto il mondo si celebra l’acqua come il bene più prezioso, da parte nostra è necessaria più di una riflessione sul tema. È opportuno iniziare a prendere decisioni serie, praticabili e condivise. I giganti della politica mondiale hanno sempre altro a cui pensare. Speriamo che anche loro si fermino a riflettere, sorseggiando un bel bicchier d’acqua, prima che la bottiglia sia finita. Per sempre.

Michil Costa