Che motivo c’è di staccare la testa alle amanite falloidi? O alle muscarie? Che piacere si può trovare nello schiacciare il fungo non commestibile con la suola della scarpa? O di colpirlo con il bastone e sentirsi per un attimo come Tiger Woods? Perché questa strage d’innocenti? Purtroppo da noi, i funghi non se la passano bene. Capisco chi li raccoglie, del resto porcini, ovuli e finferli sono di una bontà squisita. Ciò che mi lascia perplesso è la distruzione sistematica dei loro consimili da parte degli esseri umani. I quali, entrando in un bosco, dovrebbero smettere gli abiti dei distruttori sistematici di natura e vestire quelli del rispetto, della riconoscenza e della gratitudine. Perché la ricchezza del bosco è immensa.
Salire quasi quotidianamente sul Col Alt è per me un’attività terapeutica. Nel senso che mi fa bene, mi permette di staccare e di immergermi nel bosco a respirare a pieni polmoni. Il bosco è un elemento naturale che dovrebbe esserci congeniale. È come entrare in un mondo parallelo popolato da personaggi bizzarri. C’è il larice rugoso che si diverte a salutare scricchiolando. C’è il muschio che dopo la pioggia si fa spugna: com’è bello accarezzarlo delicatamente con la mano. C’è lo scoiattolo che rimbalza da un ramo all’altro e sembra un Tarzan in miniatura. Ci sono le impronte dei cerbiatti, e non solo quelle… C’è l’abete che sembra non aspetti altro che caricarsi di neve, c’è il pino con il suo loden sempreverde, ci sono gli aghi e le pigne per terra a formare un tappeto profumato: e tu vorresti essere il più leggero possibile per non calpestarlo. Ci sono anche le pietre, i massi, gli arbusti, le meraviglie del sottobosco: un’infinità di presenze che solo un occhio attento può cogliere. Sul finire dell’estate il bosco si riempie di escrescenze colorate che lo tempestano con pennellate variopinte, quasi un dripping di colore che rende tutto più vivace, giocoso, ilare. I funghi sono presenze a tutti gli effetti vicine alla mitologia. Sono conosciuti e apprezzati fin dai tempi più remoti. In certe culture lontane rasentano il sacro. I funghi sono tutti buoni. Quelli a noi indigesti lasciamoli in pace, gli altri raccogliamoli con criterio. C’è un’altra cosa che, camminando nel bosco, mi lascia sempre di stucco ed è per questo che porto spesso con me uno zainetto o un sacchetto. Mi riferisco ai rifiuti disseminati qui e là senza alcun ritegno e rispetto: per il bosco, per gli altri che qui transitano. Ho visto lattine appoggiate nei tronchi spezzati degli alberi. Ho visto pacchetti di sigarette vuoti infilati nelle spaccature dei sassi. Mozziconi di cicca sul sentiero. Cartacce di ogni genere buttate come se il bosco fosse un enorme cestino dell’immondizia. Bottiglie di plastica sbucare dietro le piante dei mirtilli. Ho visto pannolini. E vedo sempre formiche tutte indaffarate rimettere a posto la loro dimora presa a calci. Mi chiedo: perché? Che gusto c’è a rovinare, imbrattare, distruggere? Perché l’uomo è molto peggio degli animali? Il bosco violentato dagli esseri umani è purtroppo metafora della condizione generale del nostro patrimonio naturale, artistico e culturale: una rovina. A volte penso che non siamo assolutamente all’altezza dell’eredità ricevuta. Dalla Valle dei Templi a Pompei, dai centri storici soffocati dalle auto e dai gas di scarico alle cosiddette aree protette, l’Italia è un paese alle prese ormai solo con le emergenze. Il giorno in cui vedrò i boschi del Col Alt trattati come si deve, sarà il giorno in cui i clienti, sì ahimè, soprattutto i clienti (e non li chiamo certo ospiti), avranno imparato a comportarsi diversamente con il patrimonio di bellezza che hanno ricevuto in regalo. Fino a quel giorno porterò con me uno zainetto sulle spalle. E darò una mano alle formiche a tenere il bosco in ordine.
Michil Costa, Alto Adige, 02/09/2015