Ma fuori stagione? Fuori stagione nelle nostre valli la vita si ritira, a discapito della convivialità.

C’è grande fermento in valle. Nei mesi di pausa tra una stagione e l’altra è tutto un togli qui e metti lì, porta su e butta giù. Questi cambiamenti repentini, anche apparentemente minimi, creano in me un forte senso di spaesamento. Forza, quel vecchio fienile non serve più. Che caschi giù, allora. Dai, conta più la cubatura di una vecchia dimora a fungo, orgoglio dei nostri avi, che la casa stessa. E quel pezzo di prato dove giocavamo da bambini, bisogna farci un garage interrato. E poi ci sono i sorbi dell’uccellatore, quelli davanti alla chiesetta. Meglio toglierli. Sottraggono spazio prezioso ai parcheggi. E quell’aiuola va rimpicciolita, così come quel giardinetto con la fontana del paese: ci vuole un marciapiede, perbacco.

Quante decisioni legate al piacere del turista sono prese per sostituire quel che c’era prima con quello che con poca lungimiranza sembra a prima vista più funzionale. Del resto, è risaputo, un posto turistico ha bisogno di innovazione, di sviluppo, di alberghi, di comodità. Ne siamo così sicuri? Il piacere di una vacanza può sostituire quel che era vitale in un tempo passato?

 Trenta milioni di pernottamenti in Südtirol Alto Adige. Strade intasate, un andirivieni costante, una stagione invernale alle porte che si presenta ottima da un punto di vista di afflussi turistici. Ma fuori stagione? Fuori stagione mangiare una pizza qui da noi è difficile. Il macellaio ha chiuso, e anche bere un caffè o giocare a carte con gli amici, come si faceva ancora vent’anni fa, non è più possibile. Anche comprare un giornale non è così semplice. Fuori stagione dobbiamo riposare. Dobbiamo riprenderci dal grande stress della stagione precedente. L’imperativo è: scappare. Caraibi, Maldive: quando anche l’ultima barriera corallina sarà in bianco e nero andremo tutti al Lago di Garda. O allo zoo comunale, come cantava Jannacci.

Una piazza del paese non esiste più da tempo. Piazza come fulcro vitale della comunità. Come luogo d’incontro, anche solo per un saluto, per sapere che ci siamo, per scambiare un’opinione: tu cosa voti, ad esempio? È il destino di tante località turistiche. Via la piazza, via la vita. E la chiesetta piccola, deliziosa, uno scrigno dell’anima, con quel cimitero che è un inno all’eternità, che ci andavo a messa ogni giorno da piccolo, oggi cos’è? Una nota noiosa, quasi fastidiosa. Ora non si celebrano più le messe lì, c’è la chiesa nuova, quella grande, riscaldata, imponente. È spaziosa, più comoda senz’altro. Ma nel nostro intimo abbiamo davvero solo e sempre bisogno di spazio, agio, comodità, comfort e chi più ne ha più ne metta? Non ci stiamo forse rammollendo nella bambagia ossequiosa al dio consumo?

E poi. E poi c’è chi una chiesa non ce l’ha nemmeno più. E non si lamenta di un pezzo di prato che se ne va, quando la terra gli sprofonda di mezzo metro sotto i piedi. E poi brontoliamo di un vecchio fienile che non serve, ma in altri posti sono venute giù stalle intere. Se io mi sento un po’ scacciato di casa perché si pensa sempre alla comodità del turista, cosa può dire uno che la casa è costretto ad abbandonarla in fretta e furia?

Siamo fortunati: il terremoto devastante contro il quale nulla si può, qui non è mai arrivato. Siamo fortunati, e i piccoli terremoti che comunque influenzano le nostre vite ce li creiamo da soli. Fortunati noi, così indissolubilmente legati a una cultura mono-turistica, quando a distanza di qualche centinaio di chilometri chiese romaniche, culture centenarie sono ridotte in polvere. L’opera dell’uomo fa parte della storia. E questa storia diventa nei secoli patrimonio identitario. Ma quando questa storia si distrugge, per fatalità o miopia, cosa resta? Se io mi sento disorientato, colpito nel mio piccolo nell’identità che ho ricevuto e vorrei tramandare, cosa devono dire coloro che si trovano a dormire in tenda? Siamo fortunati.

michil costa, Alto Adige, 15/11/2016

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