Amo le donne. E sono femminista. Potrei anche dirvi di come non sopporto il sessismo, il maschilismo, la violenza. E forse non basta per dichiararsi femminista. Ma una cosa so: per me è liberatorio saperlo. Non sarò un buon femminista, almeno per quanto riguarda certi parametri del femminismo più convenzionale, ma è sempre meglio che essere un non-femminista. E non sono uno arrabbiato, come vorrebbe un certo luogo comune delle femministe. Potrei dirvi di più ancora di me, ma non di me voglio parlare, ma di loro, delle donne: di questo meraviglioso, per noi uomini incomprensibile, universo. Maledetti noi a non avere mai dato e a non dare ancora sufficiente importanza alle donne.  Ignoranti noi uomini a governare – male – il mondo. Ci fossero loro, ci fossero state loro, le donne a reggere le redini del nostro martoriato pianeta, le cose sarebbero andate diversamente. Diversamente significa decisamente meglio. Meglio significa che alle donne non si insegna solo ad essere gentili, carine e a modo. Questo nostro nauseabondo mondo maschilista che ripete da secoli che le donne devono essere ambiziose, ma mica troppo. Puntare al successo, ma non troppo, loro, cioè noi maschi potremmo spaventarci. Guai voi a essere troppo maschie, potremmo sentirci depauperati della nostra mascolinità.

Di certo non siamo stati noi uomini a dar loro gli spazi che meritano. Se li sono presi a suon di carta, penna e ribellione: è nella letteratura che le donne inglesi sono emerse, al punto di essere finalmente considerate dalla società in mano a club maschili. Penso a Virginia Woolf, alle suffragette, chiamate così perché lottarono per ottenere il suffragio universale. Del resto, è solo nella parità dei diritti che una civiltà può dirsi tale.

Leggendo, poco tempo fa, un bilancio sociale di una nota azienda vitivinicola, scopro che le donne in quell’impresa guadagnano mediamente il 10% in meno degli uomini. Com’è possibile? Com’è possibile che ci sia ancora chi sostiene che le donne, più tenere, devono pensare alla famiglia, ai compagni, all’economia domestica? Vorrei più Marie Curie, Nobel per la chimica, sì, più scienziate nei libri di fisica e matematica. Più Rita Levi Montalcini. Vorrei più donne al governo, vorrei più Anna Bolena che riuscì a convincere Enrico VIII a scontrarsi con la chiesa. Vorrei più Jacqueline Kennedy che ha stravolto regole e convenzioni dell’etichetta della presidenza americana, e un evviva anche a lei, Michelle Obama. O vogliamo parlare delle donne nella musica, da Joan Baez e Janis Joplin a Patty Smith, da Aretha Franklin a Beyoncé? O nella moda la potentissima Annie Wintour, e la Montessori che insegnò a insegnare, e ricordo bene quando mi soffermai al buffet dell’insalata con Margherita Hack: ‘Non mangio carne – mi disse -, perché rispetto la vita di tutti’.

A tutte le donne che vivono in Afghanistan darei il Nobel universale. E delle donne quelle cattive davvero, e ce ne sono state nella storia, e sembra siano state peggiori degli uomini, no, di quelle non mi va di parlarne.

È nel lavoro, nella fantasia, nella creatività, nella dedizione che Frau Anni, cioè nostra mamma ci ha condotti fino a dove siamo arrivati, che donna! Sì, credo proprio che la civiltà di un Paese la si veda da come sono le prigioni e da come vengono considerate le donne. Essere femministi è necessario per ogni essere umano dotato di un minimo di intelligenza. Essere femminista per me è una necessità. E non mi interessa discuterne come si fa, se è giusto o sbagliato. Il femminismo non è una storia unica. Il femminismo deve avere le voci di tutte le persone consenzienti di questo pianeta. Ognuno con il suo modo di essere, ma con uno scopo ben preciso: pensando agli obiettivi comuni, che non possono non essere quelli di lavorare per l’uguaglianza e il rispetto reciproco. E chiudo citando l’ormai famosa e splendida Chimamanda Ngozi Adichi che nel suo saggio ‘Siamo tutti femministi’ scrive: «Io vorrei che tutti cominciassimo a sognare e progettare un mondo diverso. Un mondo più giusto. Un mondo di uomini e donne più felici e più fedeli a se stessi. Ecco da dove cominciare: dobbiamo cambiare quello che insegniamo alle nostre figlie. Dobbiamo cambiare anche quello che insegniamo ai nostri figli».