Non mi piacciono gli ottimisti. I pessimisti invece, quelli proprio non li sopporto. Quelli che non riescono a vedere i problemi come delle opportunità, quelli che hanno già la faccia scura e il muso duro all’inizio di una riunione, quelli che camminano a testa bassa e che volentieri ti usano come cassonetto delle immondizie vomitandoti addosso tutte le loro angosce, ansie, paure e negatività.
E fin qui nihil sub sole novi, nulla di nuovo sotto il sole; non fanno per me i pessimisti, non mi spremo le meningi a riflettere sui loro stati emotivi. Non perché non li consideri, ma semplicemente perché, non facendo lo psicologo di professione – almeno non in senso stretto -, non riesco a mettermi sulla loro lunghezza d’onda. Sono invece gli ottimisti perpetui quelli che mi fanno riflettere. Quelli che non controllando il loro ottimismo, lo trasformano in cieca fede; diventano pericolosi quando credono di controllare quanto invece non possono influenzare. Ne abbiamo di esempi in questo mondo! Il “think positive” ad oltranza è sinonimo di mancanza di pensiero profondo, è un vagare cieco tra le tante opportunità della vita, è un affrontare una corsa ad ostacoli con gli occhi bendati e le antenne abbassate. Il cervello degli inguaribili ottimisti tende a sopravvalutarsi, e forse anche a non essere sincero con se stesso: da ottimista tende infatti a dar mostra sempre solo del meglio per riuscire ad avere successo nella vita, spesso a scapito degli altri. L’ottimista incondizionato vive in una finzione, non è autentico, da autòs, se stesso. Un mix di fiducia e volontà, di impellente necessità a dipingere tutto forzatamente bello, gli fa perdere la visione più ampia delle cose: non riesce a considerare un pensare olistico, un essere filosofo nel senso di amante del sapere. L’inguaribile ottimista può essere dannoso e disastroso nel lavoro: sottostima la concorrenza, sottovaluta i cambi climatici, non vuole sentirsi addosso le responsabilità che gravano su ognuno di noi, non può contribuire all’evoluzione della nostra specie. L’ottimismo più sfrenato ha dato vita alla tragedia più grande della storia dell’umanità, quando una nazione intera si abbandonò al collettivo delirio nazista. Un pessimismo a dosi moderate avrebbe potuto essere un buon antidoto. Il mondo segnato da brutture non appartiene all’ottimista, quando però dovrà prenderne consapevolezza, il risveglio potrà essere molto amaro. Ne sono esempio quegli alunni modello, che concentrando tutte le loro energie per prendere i voti migliori, una volta in preda della quotidianità si accorgeranno che i voti alti non sono certo la pozione magica per affrontare al meglio tutte le difficoltà della vita.

I pessimisti non fanno per me, non riesco a mettermi sulla loro lunghezza d’onda. Gli ottimisti inguaribili invece, a quelli dobbiamo stare attenti. Entrambi mancano di una visione olistica.

Essere concentrati troppo su stessi a tratti può essere anche positivo, come quando per lavarsi un po’ l’anima, si dona aiuto ai più deboli. Ma non basta. La vera necessità che abbiamo è di fare meno male al mondo. Quando gli americani decisero di andare a fare un po’ di guerra in Vietnam era visto come poco più di un gioco. Anni dopo George W. Bush dichiarò guerra a Bin Laden, con il risultato di un’escalation militare che portò a una “guerra preventiva’” sottoscritta dalla maggior parte degli americani. Quell’ottimismo portò a infiniti problemi con un consenso crollato e una disastrosa recessione economica. Eppure vincere in Iraq per George W. Bush deve essere stata pensata come una passeggiata. E ammazzare qualche milione di persone nei gulag o le convinzioni dei dittatori africani erano certamente spinte da un ottuso ottimismo, motivati da una tirannica, ottimistica convinzione di “annientare per ripulire” . I politici tendono a trovare soluzioni semplici a problematiche complesse, spinte da eccessive campagne patinate a favore della loro immagine.

È ovvio che conservare più ricordi positivi rispetto a quelli negativi ci aiuta a vivere meglio, chi di noi ha la possibilità di scegliere se andare a cena con un ottimista o un pessimista, di certo non avrà esitazioni. Personalmente credo che una buona dose di ottimismo abbia necessità di essere accompagnata da una sana dose di criticità. Pensare e agire con passione, credere nel dialogo, avere anche pensieri lunghi non sempre positivi, ma fare ogni piccolo passo con l’ottimismo nel cuore e nel cervello, questo può aiutarci a creare benessere. Ben venga quindi una dose di ottimismo, a patto che non sia un’overdose.