Mi sento parte di lei, ne ho rispetto e ne gioisco intimamente, ma al contempo la forte commozione dell’animo che sento mi destabilizza, mi fa sentire vulnerabile. La montagna mi fa capire il senso del limite. Conosco la fatica a salire i ghiaioni, il timore quando vedo nuvole minacciose sopra di me, la stanchezza dei muscoli delle braccia a tirarmi su verticalmente. Il mio camminare, quasi quotidiano e per diletto, mi ha fatto riflettere sulla fatica del contadino di montagna, sempre al limite delle sue possibilità, e che quella mite agricoltura non è sempre per volontà, o per scelta, ma il limite imposto dagli erti prati. Su quei pendii dove la vegetazione si fa più rada, anche i fiori sono al limite delle loro capacità facendo compagnia a camosci e stambecchi che non sempre arrivano a primavera dopo gli inverni più freddi e che nei caldi giorni estivi potrebbero oltrepassare i loro limiti di sopravvivenza. Pochi giorni fa sono stato in cima al Croz dell’Altissimo, magnifica cima sulle Dolomiti del Brenta. Ero stato invitato al Mountain Future Festival, bellissima rassegna magistralmente organizzata dalla comunità. Annibale Salsa e Simone Cristicchi ci hanno portato in una dimensione altra, colloquiando in modo profondo e leggero.

Ebbene, su quella cima sopra una parete di 900 metri e sotto di me il pauroso abisso, con la vertigine che sale, ho sentito la libertà cadere.

Ho nettamente percepito lo stato di limitatezza, ho capito benissimo l’importanza dell’erudizione del limite, che l’uomo non è libero, crede di esserlo, si comporta come se fosse in-finito, ma non lo è. Non lo è quando è abbagliato dagli scaffali lussuosi, non lo è attaccato a una parete. Oggi la mancanza del senso del limite, che è il risultato della troppa libertà di cui disponiamo da qualche decennio in nome dell’emancipazione più totale da tutto e tutti, ci ha fatto dimenticare perfino come usare al meglio il tempo libero tra un impegno e l’altro. Oltre all’educazione civica, nelle scuole dovremmo insegnare il buon uso del tempo, dovremmo insegnare la ri-creazione, il tempo che ri-crea l’uomo e che ha effetti primari sulla felicità dell’uomo. La libertà nel nostro mondo, troppo spesso è scambiata per i grandi magazzini Harrod’s a Natale. La voragine del troppo di un grande magazzino è paragonabile alla voragine del vuoto da una vetta che ti fa venire le vertigini; è quel che succede a chi affronta le montagne con troppa leggerezza, fisica e spirituale. La passione per la troppa libertà equivale al rifiuto di conoscerci fino in fondo, come diceva Goethe “Se conoscessi me stesso fuggirei”.

Abbiamo dimenticato che siamo ospiti della natura, e, così dicevano i greci, l’uomo è mortale.

Continuare a vivere nell’illimitato ci fa perdere la saggezza, quella sì innata e progressivamente dimenticata. Va da sé che senza limiti non solo non siamo felici, ma non possiamo pensare di vivere in una comunità. Ogni comunità ha bisogno di regole per con-vivere con l’altro, per obbligarci a fare abitualmente la cosa giusta, per avvicinarci all’altro come ci si avvicina a una montagna. Con rispetto e consapevolezza del limite. Ed ecco che camminare in montagna non diventa semplicemente un’attività fisica: camminare lungo un crostone, che se non stai attendo a dove metti il piede finisci sotto, fa capire i margini vitali e mortali della vita. Ed è a volte un limite molto sottile anche quella luce rossastra al mattino, aurora riccioli belli la chiamava Omero, che è da prendere subito, come un’illuminazione di pensiero che se non cogli immediatamente svanisce. La montagna è occasione di pensiero un po’ più profondo e soggetto di ascolto. Il camminare diventa s-pensierato. La troppa libertà di fare quel caspita che ci pare fa dimenticare anche che la montagna è di tutti e di nessuno. Nessuno dovrebbe essere legittimato a trasformare la montagna, eppure ne alteriamo le caratteristiche, impiantiamo chiodi, copriamo i ghiacciai, i sistemi totalitari l’hanno usata come propaganda modificandone l’aspetto. Abbiamo costruito teleferiche, scavato tunnel nel ghiaccio, messo i tralicci per poi farli saltare in aria. I naturali percorsi a ostacoli vengono dismessi nel nome dell’accessibilità per tutti, in quota facciamo parchi giochi, facili e sicuri, scontati e spensierati. Tutto un male? Non proprio. La montagna è bella perché l’uomo ci dialoga. La montagna però dovrebbe ispirare alla vera libertà: quella del limite. Va bene facilitare l’accesso per avvicinare anche coloro che altrimenti sarebbero privati della grande meraviglia. Occhio però alla troppa libertà, non sconfiniamo in un Luna Park stile Disney World. Manteniamo sempre ben saldo il senso del limite, il più grande insegnamento che ci dà la montagna.

michil costa