Alla fine di ogni anno faccio un resoconto dei libri che ho letto negli ultimi dodici mesi.
Mi prendo il tempo di fare una riflessione un po’ più approfondita su quelli che maggiormente mi sono rimasti impressi. Quest’anno tra questi c’è “L’altro” di Ryszard Kapuscinski. Il polacco scrive dell’importanza di viaggiare concentrati e con l’orecchio sempre in ascolto. La strada che si percorre è importante, poiché ogni passo ci avvicina all’incontro con l’altro. È questo il tema dell’autore: gli estranei, una delle più ricche fonti di conoscenza del mondo; ogni incontro con l’altro è un indovinello, qualcosa di ignoto, se non addirittura di segreto (scoprite i segreti del vostro vicino). Per conoscere se stessi bisogna conoscere gli altri: gli altri sono lo specchio nel quale ci vediamo riflessi.
Lo diceva già Erodoto, che la xenofobia è la malattia di gente spaventata, afflitta da complessi di inferiorità e dal timore di vedersi riflessa nello specchio della cultura altrui.
Ho poi finito di rileggere “Anna Karenina”. I maltrattamenti subiti da quella donna disgraziata, e al contempo la sua incapacità di impegnarsi davvero nella ricerca della felicità e della comprensione dei propri sentimenti, le risulteranno fatali. Prima scoperta dell’acqua calda in questa mia personale riflessione letteraria: Tolstoj è uno scrittore memorabile. Ho fatto poi una seconda scoperta dell’acqua calda: l’impressionante attualità dei classici Greci, i fondamentali pensieri di Socrate e Platone. Aristotele poi mi è entrato nel cuore. Leggere per conoscere davvero, ecco cosa ci può regalare il perdersi fra le parole altrui: la conoscenza. Non la pseudo-conoscenza condita con una buona dose di superficialità e strumentalizzazione, come la troviamo negli agitatori di folle, nei capipopolo ammalati di ego e potere, nei capi di stato che propongono semplici soluzioni a problemi complessi; neanche quella degli spot di influencer vari.
Viviamo in tempi in cui è la superficialità a regnare.
Succede così che è proprio la vera conoscenza ad essere messa in discussione. Le opinioni soggettive di chi, con facili retoriche ed epidermiche argomentazioni controbatte a chi ha dedicato studio e approfondimento a tematiche specifiche, sono scambiate per verità. A proposito, dov’è finito l’aplomb inglese? La conoscenza ha bisogno di fondamenta, non di parole al vento. Chi legge molto certo non può contare su una conoscenza perfetta, le teorie non tutto spiegano e le previsioni possono rivelarsi errate. Eppure, se ci interessiamo all’emergenza prima di questo pianeta, la crisi ambientale, ci rendiamo conto come gli scienziati già quarant’anni fa avevano teorizzato l’attuale situazione e quel che sarà in divenire. Anche in questo caso, solo chi non va alla base della questione, chi non approfondisce le ipotesi scientifiche, può avere il coraggio di mettere continuamente in discussione l’evidenza dei fatti. Ecco che torniamo al contemporaneo Aristotele, primo ambientalista della storia: per lui esisteva un’etica della natura e l’ecologia era soprattutto metodo.
In estrema sintesi, questo è ciò che mi rimarrà impresso da quel che ho imparato dai miei libri: l’altro non è che lo specchio di noi stessi, il ritorno alla Natura non è più un’opzione, e la felicità dipende in larga misura da noi stessi, dal nostro comportamento.
Ho l’impressione che molte persone siano orgogliose di non sapere le cose, pavoneggiandosi della loro stessa ignoranza. Mi preoccupo a leggere che la metà degli imprenditori italiani dice di non avere letto nemmeno un libro in un anno. La mancanza di autoeducazione è pericolosa, soprattutto quando si è a capo di un’azienda. Mi disse un giorno Ricky Levi, presidente degli editori italiani, che “un Paese non può essere ricco e ignorante per più di una generazione”. A questo si aggiunga che in un’era di pressapochismo – che Socrate tanto odiava – e di incompetenza generale diffusa, la stessa democrazia è a rischio.