“C’è stato un complotto orchestrato dagli americani”. “Hanno creato il batterio in laboratorio”. “Era meglio fare finta di niente”. “I francesi e i tedeschi sono stati più furbi, gli italiani troppo onesti”. “Erano anziani, altri debilitati, sono passati al creatore, ma erano già moribondi”. “È tutta colpa dei media, Facebook, i social, la politica” e via discorrendo. “Il contagio allarmistico è più pericoloso di quello reale”. “È la paura della paura per un po’ di febbre”. “Ci fosse stato un ministro della sanità europeo…”. Supposizioni, accuse, individualismi, egoismi, protagonismi e ismi vari: siamo alle solite, tana libera tutti. Il punto è che nel nostro bel e ricco mondo occidentale una crisi vissuta così da vicino, anzi direttamente, dal dopoguerra non l’abbiamo mai vissuta. Non sono bastati diciottomila dispersi nel mare negli ultimi cinque anni a far suonare il campanello d’allarme globale. Nel cuore di qualcuno sì, ma globalmente no.

Non ci saremmo mai aspettati un contagio. Ci voleva una vicenda che ci toccasse da molto vicino, che ci pungesse nel vivo per farci uscire da un torpore anestetizzato. Non eravamo più abituati a simili vicissitudini. Ora il nostro interesse è focalizzato sull’immediato a casa nostra, alla questione del cambiamento climatico invece non abbiamo mai dato troppo peso perché ha tempi troppo dilatati, sembra più lontana e non ci sembra di doverla percepire come urgente. Ora però in mancanza di un’Europa unita, ci atteniamo a quello che dice il nostro Capo dello Stato, il quale, al di là del bisticcio di parole, è stato molto chiaro. Non è tempo adesso di fare gli anarchici.

Ci riusciremo unendoci nel pensiero

Ora, dopo avere tergiversato, abbiamo l’obbligo di seguire le direttive senza se e senza ma. Ed è così che dobbiamo chiudere anticipatamente, e ci spiace enormemente per la stagione, gli ospiti, i nostri collaboratori fidati, fantastici. Dobbiamo chiudere e arrivederci alla prossima stagione, sperando che ci sia.

Ci aspettano tempi difficili, ma è nei tempi di crisi che l’essere umano può dare il meglio di sé. Da questa situazione di enorme disagio potremmo e dovremmo ripartire per ribaltare i paradigmi ingiusti, essere un po’ di meno disumani e capire di nuovo che noi esseri umani, abbiamo la facoltà di decidere. Ora sarà compito della democrazia, così vilipesa e bistrattata negli ultimi tempi, riuscire a farla convivere con l’emergenza con ordini precisi. E ci riuscirà, ci riusciremo.

Da tutta questa storia dobbiamo cogliere l’aspetto positivo, la grande occasione che si sta palesando di fronte a noi: oggi, in questi mesi, possiamo trovare una soluzione non solo al dilagare del virus, ma anche alle migrazioni e al cambiamento climatico. Abbiamo la possibilità di imparare a rinunciare a qualcosa come individui per avere di più come collettività. Il virus C19 non è la peste e non è nemmeno la peste di poco più di mezzo secolo fa che per Camus era il nazismo. Non è Cernobyl e non è la terza guerra mondiale. È un periodo storico che, pur essendo inopportuna questa mia riflessione che non conta nulla, trovo affascinante. È un’emergenza. Non passerà in un mese e nemmeno in poche stagioni. Ci saranno cambiamenti nel nostro modo di pensare e, almeno per un po’ mi auguro, proveremo a riflettere fino in fondo con più testa e meno pancia. Disse qualcuno che ‘Grande è la ricchezza di un’epoca in agonia’. L’invito che rivolgo a tutti noi, è di tentare di vivere questa pagina di storia con leggerezza e soavità: più lenti, più profondi, più lievi implorava Alexander Langer oltre vent’anni fa. È giunto il momento. Non possiamo pietrificarci, dobbiamo agire. E abbiamo dimostrato che lo possiamo fare. Isoliamoci dunque, ma uniamoci nel pensiero.

Un grazie enorme ai collaboratori che hanno continuato ad avere cura degli ospiti, a cucinare, a fare letti e a portare valigie a contatto con mezzo mondo. Sono straordinari, non ci hanno lasciati per un istante. Grazie cari collaboratori!

Grazie cari ospiti per essere stati con noi. Grazie per la comprensione. Grazie per credere in un mondo dell’accoglienza italiano, sudtirolese, dolomitico, ladino, familiare come lo siamo noi nel nostro piccolo, che saremo più ospitali e accoglienti di prima. Questa, per ora, è l’unica garanzia che possiamo dare. Ci vediamo quest’estate, in un modo o nell’altro.

Michil Costa