Non serviva appostarsi con molte ore di anticipo. E non c’era nemmeno bisogno di camminare per ore. Quel volo lo conosceva, l’aveva seguita con il cannocchiale, la vedeva planare per arrivare ai suoi cuccioli con il cibo. L’aveva studiata quell’azione, un omicidio calcolato. Quella feccia che non serve nemmeno a concimare i campi, arriva con il suo fuoristrada fino a distanza di tiro, monta la carabina, aggiusta il binocolo, preme il grilletto. Sì, è un gioco ad armi impari. Lui armato fino ai denti, lei nuda in tutta la sua bellezza. II grande rapace si accascia sulle uova non ancora dischiuse. Un truce scherzo in cambio di una vita. Con un ghigno beffardo l’omicida si allontana dal luogo del delitto. Poi sarà andato in un bar a farsi un bianchetto, e, sarcastico, a prendere in giro ambientalisti e vegetariani. Peccato non potersi vantare davanti a tutti, ma a qualcuno l’avrà detto. Ecco perché anche questo omicidio non è perfetto. Prima o poi verrà scovato. Ecco perché non possiamo certo chiamare aquila un genio del genere. Non verrà più protetto, come succedeva ancora poco tempo fa, da alcuni suoi consimili. Non lasciamolo però nemmeno nelle mani del popolo. Perché la furia omicida, se non vogliamo tornare indietro all’uso delle clave, non può essere ripagata ad armi pari. Lui, odiando la vita, e non essendo mai riuscito a godere della maestosità del volo di quel magnifico uccello, il conto l’ha già pagato.
Michil Costa