Inutile cercare scuse: i cambiamenti sono incredibilmente faticosi. A volte sarebbe più comodo mettere la testa sotto la sabbia che affrontare un cambiamento. Più comodo sì, ma non più vantaggioso.
Il compito importante che abbiamo ora è quello di trovare rimedio alla sensazione di perdita di controllo che ci pervade – una sensazione “normale” in questo momento -, per riuscire a cogliere al meglio l’opportunità di cambiamento che ci offre il tempo in cui viviamo. Come? Provando a capire, senza panico e senza critiche eccessive, se le cose che facciamo le facciamo in modo corretto. Dobbiamo affrontare la crisi in modo costruttivo per carpire il cambiamento che cela. Solamente facendo un’analisi approfondita di noi stessi e delle nostre azioni, senza timore di fronte a ciò che esse ci riveleranno, possiamo riuscirci.
Di questo percorso di ripresa di coscienza fa parte anche il valore che diamo alle parole. Spesso usiamo le parole troppo superficialmente, come se fossero prodotti di cui usufruire a piacimento senza considerarne contesto e provenienza. Ma ogni parola ha un significato, una derivazione, un etimo: riusciamo a coglierla nel suo senso profondo e sottile?
In questo periodo più che mai le strategie di marketing sono centrali per dare una spinta e riformare. Una caratteristica intrinseca del marketing però, è proprio quella di scindere la forma dal contenuto. Ecco quindi che nelle campagne di comunicazione è uso comune che le parole vengano svuotate del loro senso. Soprattutto nel turismo è subito tutto autentico, attrattivo, unico. E in montagna il paesaggio è sempre incontaminato. Retorica e mistificazione sono spesso il linguaggio delle strategie commerciali. Si vende l’emozione, l’adventure, l’esperienza indimenticabile; ma cosa vuol dire? Sono ideologie che hanno sacralizzato il mercato, piallando ogni sussulto creativo a mercé del fatturato. Ed è quell’urlato che impedisce il dialogo. Un personaggio di Pirandello diceva in “Ciascuno a suo modo” (1924): “quanto male ci facciamo per questo maledetto bisogno di parlare!”
Una parola che ha subìto uno svuotamento di senso, a causa soprattutto del continuo uso per scopi di tecniche di mercato, è sostenibilità. Nel tentativo di esorcizzare la crisi, che prima di essere economica è soprattutto umana e di valori, recitiamo un mantra per convincerci che facciamo già il possibile per salvarci dal disastro ambientale e sociale che ci aspetta. Ma se ci prendiamo un attimo per capire se davvero facciamo le cose fatte bene, comprendiamo subito che la strada verso la sostenibilità ha bisogno di ben altro che di parole svuotate di senso. Sostenibile è ciò che dura nel tempo. Ecco che per avvicinarci al significato di “sostenibilità” dovremmo iniziare dalla differenza tra quantità e qualità. Un marketing composto da parole vuote di senso, mira forse alla quantità, ma non è sostenibile e tantomeno punta alla qualità del messaggio.
L’invito è quello di non perderci nell’uso di parole comuni e bistrattate. “Amo molto parlare di niente. È l’unico argomento di cui so di tutto”, diceva Oscar Wilde. Ma la parola pensa. Le parole hanno un valore, vanno scelte con cura e parsimonia e, a volte, più che pensare a comunicare, forse dovremmo pensare ad agire, anche in silenzio ma concretamente, dando un senso alle nostre azioni.
La vera forza di una crisi è quella di renderci più forti di quanto lo eravamo prima. Trasformare le ideologie dominanti non è solo un’occasione per rivedere o rafforzare il profilo aziendale, per riposizionarci e farci belli, è un’occasione per dare più sostanza a un nostro stile di vita che parte dal valore delle parole che usiamo per arrivare alle azioni che compiamo.