Quando ero piccolo zia Marianne mi raccontava sempre una storia truce. Era il racconto di un omicida che, salendo i piani della casa di una fanciulla, annunciava con mostruose frasi il suo avvicinarsi e di come l’avrebbe sgozzata. La zia non lesinava in particolari orribili. Stavo ore e ore, insieme ai miei cugini, ad ascoltare la storia sempre uguale e per certi aspetti sempre diversa. L’immaginazione vagava, vedevo scorrere sangue, staccarsi brandelli di pelle e immaginavo il corpo orrendamente mutilato di Katiuscia, la disgraziata vittima. Con il passare del tempo, mi sono reinventato la storia e riuscivo alla fine sempre a trovare un finale che mi soddisfaceva. Non mi dispiaceva che all’omicida a volte venisse spaccata la testa, ma spesso la storia amavo concluderla con un finale lieto. Ancora oggi mi perdo sognando a occhi aperti mentre vago nei boschi: vedo folletti comparire per un attimo, per poi svelti nascondersi dietro i folti cirmoli, e m’immagino la faina che qualche giorno fa, nel bosco sopra Bagno Vignoni, si è fermata a pochi metri da me fissandomi e mi son detto: “Ora mi parla”. Mi piace ascoltare le storie fantastiche di Rino Gaetano, con la sua capacità d’intrecciare realtà e fantasia nelle canzoni e che aveva previsto la sua morte ne “La ballata di Renzo”. Mi piace perdermi nelle poesie dell’artista dada Kurt Schwitters e nel surrealismo di Italo Calvino che racconta di Cosimo Piovasco di Rondò che, per sottrarsi al mondo nefasto, decide di arrampicarsi su un albero per non scendere mai più. Lì si innamora di Viola e si appassiona a quel mondo fatto di arbusti, foglie, rami, tronchi infiniti. Poi però, anziano e provato, decide che aggrapparsi alla mongolfiera per scomparire nel cielo può renderlo felice in eterno.  Buzzati che ci racconta delle Dolomiti, o Alda Merini che disperde versi tra la terra e il cielo mi trasportano in mondi altri. Non avere visitato mostre, non essere andato ai concerti o a teatro mi manca. Mi rifugio nei libri, ma non basta: sento come una barriera, un’occlusione, una saracinesca chiusa nella mia testa. Le storie fantastiche continuo a raccontarmele mentre cammino in montagna o abbraccio quell’antico larice, eppure so: l’uomo è relazione, e l’essere eremita, ancora, non fa per me. Questo lungo prologo per raccontare la tristezza che provo con la chiusura di una delle istituzioni creative per eccellenza: il Cirque du Soleil.

Ne sono certo: oltre a matematici, virologhi e medici, vorrei ascoltare filosofi e poeti. È una peculiarità dei periodi neri: ci si concentra sulla realtà, senza riflettere sufficientemente su quella sociale. Ed è proprio la nostra società che, oltre all’impellente necessità di giustizia, dovrebbe essere messa al centro di tutte le priorità di ogni governo: la società e la sua capacità di sognare. Oggi purtroppo sembra che sognare sia diventato un lusso. Invece no, artisti, musicisti, poeti, acrobati devono avere un impatto sulla nostra società, l’uomo non è solo economicus o faber, è anche musicus e artisticus. I poeti di un tempo parlavano per grazia divina, i saggi per sentirsi ascoltati facevano perfino finta di essere pazzi. Con il lockdown (possiamo anche chiamarla chiusura, che suona meglio) del circo, che chiaramente è imbroglio e verità, se ne va un pezzo di inganno di Odisseo e del suo essere multiforme e falso; ma se ne va anche l’incrollabile fiducia della forza in sé di Achille, veritiero e semplice. Falsità e verità, inganno e sincerità sono opposizioni complesse e contraddittorie. Difficile tracciarne confini netti. E la nostra storia oggi è questa: con il Cirque de Soleil, perfetta rappresentazione della complessità umana, se ne va un pezzo di umanità. Quell’umanità che rafforza noi, esseri viventi, umani e sociali.

Era meglio chiudere il circo dei passi dolomitici, ingabbiati come belve ormai addomesticate tra raduni di macchine e sgraziati rombi di motociclette! Sogno i passi dolomitici senza inquinamenti acustici, ma non riesco a immaginarmi un futuro non prendendo in considerazione la creatività, antidoto contro la paura e le incertezze. Qualcuno potrebbe ribattere che chiudere scuole e chiese sia stato un disastro sociale e che, a confronto, un circo che se ne va in fondo può essere tollerabile. Ed è proprio questo che mi rattrista ancora più. Il non essere consapevoli dell’importanza dell’arte, antidoto o perlomeno precursore di quel che potrà ancora succedere.

Da parte nostra ce la stiamo mettendo tutta. Proviamo a riformarci e reinventarci un mondo dell’ospitalità nel quale l’arte, la pagina di apertura del nostro sito, dalla musica agli incontri con gli scrittori, avranno un posto determinante. Il nostro futuro non può essere il fastidioso e violento motociclista che rimuove l’artista, bensì Cosimo il Piovasco che su quell’albero trova un mondo incantato.

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