La prima cosa che faccio appena sveglio è preparare coscienziosamente la prima infusione di tè giapponese, uscire sul terrazzo e, mentre tutto ancora tace, sono da poco passate le cinque, godermi il momento. Sento il sapore del tè mentre rivolgo lo sguardo a quei pinnacoli dinnanzi a me. Ne gioisco intimamente. Quella tranquilla pace si trasforma in commozione, in profonda vulnerabilità al pensiero che quella montagna poco dopo la salirò. Con lei ci parlo. E lei mi fa capire il senso del limite. Il cuore mi batte forte quando arranco con le pelli di foca. E il timore di finire sotto una slavina, ma anche solo di spaccarmi una gamba, non mi lascia mai. Sono solo. In montagna ci vado quasi sempre da solo. So che finire in una tormenta in questi luoghi così ameni potrebbe essere pericoloso, fatale d’inverno, ancor più che d’estate. Quando tutto diventa bianco e non si distingue più il cielo dal suolo, e il gelo inizia a mordere il mento, le mani e i piedi, la voglia di sedersi e riposare si fa insistente, una sorta di miraggio che potrebbe non farmi più svegliare. Hai voluto andare in montagna? E allora cammina. Perché a me interessa la montagna innevata, non lo sport. Come diceva Royal Robbins, un pioniere dell’arrampicata americana, prima del gesto viene il pensiero. Sì, prima del risultato viene il sogno. Percepisco lo stato di limitatezza e col tempo ho compreso benissimo l’importanza dell’erudizione del limite: so che l’uomo non è libero e, pur credendo di esserlo, si comporta come se fosse in-finito, ma non lo è. Non lo è quando è abbagliato dagli scaffali lussuosi, non lo è attaccato a una parete. Oggi la mancanza del senso del limite, che è il risultato della troppa libertà di cui disponiamo da qualche decennio in nome dell’emancipazione più totale da tutto e tutti, ci ha fatto dimenticare perfino come usare al meglio il tempo libero tra un impegno e l’altro. Eppure il buon uso del tempo, la ri-creazione, il tempo che ri-crea l’uomo, ha effetti primari sulla felicità dell’uomo. La libertà nel nostro mondo, troppo spesso è scambiata per i grandi magazzini Harrod’s a Natale, che invece di ri-creare, illudono, ci anestetizzano. La voragine del troppo di un grande magazzino è paragonabile alla voragine del vuoto che da una vetta ti fa venire le vertigini; è quel che accade a chi affronta le montagne con troppa leggerezza, fisica e spirituale. La passione per la troppa libertà equivale al rifiuto di conoscerci fino in fondo, come diceva Goethe: “Se conoscessi me stesso fuggirei”. Sì, la montagna dovrebbe ispirare alla vera libertà: quella del limite. Continuare a vivere nell’illimitato ci fa perdere la saggezza, quella sì innata e progressivamente dimenticata. Va da sé che senza limiti non solo non siamo felici, ma non possiamo pensare di vivere in una comunità. Ed è a volte un limite molto sottile anche quella luce rossastra al mattino, aurora riccioli belli la chiamava Omero, che è da prendere subito, come un’illuminazione di pensiero che se non cogli immediatamente svanisce. La montagna è occasione di pensiero un po’ più profondo e soggetto di ascolto. Il camminare diventa s-pensierato, ed è allora che so: ogni mia azione è sacra, e, da essere mortale, camminando ho la possibilità di diventare divino.

Michil Costa