Al mare ho visto le cose che voi umani fate ma nemmeno immaginate di fare. No, non le navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione di bladerunneriana memoria. Per raccapricciarmi sono bastati i fogli excel aperti tra un aperitivo e l’altro, le indicazioni sul bilancio dispensate in infradito, le telefonate a volume altissimo, le raccomandazioni sull’incremento del cash flow. Ho visto uomini e donne girare le spalle al mare sul proprio lettino perché altrimenti non avrebbe potuto compulsare lo smartphone, tutti sempre al telefono per far morire d’invidia quelli in ufficio a Milano. Gente che non sa cosa farsene del mare, quello che importa è il contorno: la varia umanità in panciolle sotto il sole a leccare gelati, tra un post su Instagram, un po’ di shopping e l’immancabile musicaccia. Ogni tanto si immergono per rinfrescarsi un pochino, sempre attenti a non finire nello scarico delle tubature di pensioni e alberghi che le stelle le hanno conquistate chissà come. Mi chiedo cosa ci trovino a stare lì accalcati, schiacciati come le sardine sulle sabbie demaniali, ora stabilimenti privatizzati con metodi più o meno leciti. Tutti al mare a girare la testa dall’altra parte, quando qualche disgraziato in fuga dalla miseria e dalla violenza sbarca sulle nostre coste in cerca d’aiuto. Ancora non l’abbiamo capito che il mare avanza inesorabile divorando la spiaggia e restituendo al tramonto bastimenti di immigrati in cerca di un’alba. Il mare non porta il virus, quello viaggia più rapidamente, sopra i diecimila metri di quota, e poi ci impedisce di stare vicini, di ballare, di baciarci alla francese, tantomeno alla spagnola.
Sono a Giannutri, il cielo è terso, la pace regna sovrana. Un nugolo di persone è seduto ai tavolini del Terrazzo Belvedere. M’avvicino a quel luogo meraviglioso senza nutrire grosse speranze: so che quando avranno vuotato i calici se ne andranno senza aspettare il momento più bello e importante della giornata. Io invece sono qui proprio per quello. Mi preparo, mi raccolgo. Tra poco, quando il sole avrà toccato l’angolo tra l’isola del Giglio e il mare, mi alzerò, renderò grazie per la giornata e rivolgerò il mio saluto a Elios, a colui – come diceva Sofocle – che vede tutte le cose.
Mancano pochi secondi al momento che ho atteso con ansia, temevo di essere il solo e invece una decina di persone si alza in piedi, moltiplicando il mio entusiasmo. Adesso potrò salutarlo, il dio visibile come lo chiamava Ermete Trismegisto, maestro di sapienza. E lo farò ad alta voce, e lo faranno anche quelle persone, o forse mi seguiranno meditando in silenzio. Li guardo e sorrido. Eccolo, il momento è arrivato: il sole tocca la terra ferma poco sopra il mare. È un’immagine stupenda, carica di significati, ne godo enormemente e trattengo a fatica il desiderio di urlare. E allora succede che i clienti del B&B di Giannutri – clienti, non ospiti – vuotano i bicchieri, salutano e se ne vanno. Alla faccia delle calette deserte, dei bei fondali, della natura selvaggia e dura dell’isola toscana. Se non altro adesso il silenzio sarà rotto solo dai gabbiani. “Cosa saranno mai quattro raggi di sole?” avranno pensato, girandomi le spalle come si fa con un personaggio particolare. Ma io per quell’istante, per quel giallo luminello sopra al mare avrei dato tutto l’oro del mondo. Ecco, adesso mi assalgono i cattivi pensieri, cerco di sintetizzarli perché non ho voglia di guastarmi la serata: lo spritz è la rovina di tutti i tramonti, orrendo prosecco con quell’arancio immondo che sembra proprio voler sfidare i raggi del sole (uscendo ovviamente sconfitto). D’un tratto è la voce di Qohélet che mi sussurra all’orecchio:
C’è un guadagno per l’uomo
In tutto lo sforzo suo che fa
Penando sotto il sole?
Se lo sforzo è ridursi all’insensibilità, per non dire altro, no, non c’è nessun guadagno. Solo un immenso appiattirsi dell’animo che conduce l’essere umano nel vicolo cieco dell’ottusità.