Sarà uno degli ultimi autunni con i larici dipinti di arancione. Da sempre amo abbracciare quel vecchio albero, ora rosso fuoco, lì, sotto il Col Alt. Poi sarà la fine. Forse un asteroide colpirà il nostro pianeta, ma questo accadrà dopo. Forse moriremo di altri e più potenti virus, ma non subito. No, con buona pace dei Maya, la fine del mondo prevista per il 2021 non ci sarà. Anche gli scienziati della Nasa teorizzeranno la nostra fine, paragonandola a quella di Venere, devastata dall’effetto serra. Tutto ciò non mi preoccupa, come non mi preoccupano i No Vax con il loro individualismo sfrenato, egoisti, narcisisti, capaci di romperci le scatole con le loro ridicole teorie sui vaccini, con le loro paranoie, con il loro complottismo. Non m’impensieriscono la loro ignoranza, i loro rantoli da cane rabbioso che minaccia di addentare al collo la preda che crede di scorgere sui barconi degli immigrati. Potrei quasi sorriderne, se il mix con l’estremismo politico non li trasformasse in bruti violenti, pronti a comportarsi da squadristi, a marciare su Roma molto spesso in compagnia di squadristi veri, con l’avallo di leader nazionali che altro non sanno fare, se non soffiare sul malcontento e sulla disperazione.
Non sono questioni marginali, tutt’altro, ma si tratta pur sempre di faccende d’importanza relativa, rispetto a come e quando finirà il mondo. Non saranno certo i No Vax e nemmeno i fascisti a provocarne l’implosione e neanche le guerre informatiche o lo scontro tra civiltà. Il mondo così come lo intendiamo, popolato dagli esseri umani, cesserà di esistere prima dell’introduzione di un ragionevole reddito incondizionato per tutti e dell’obbligo di presentare periodicamente l’impronta ecologica. Da qui a dieci anni – ma, stando al Climate Clock di Roma, gli anni che ci rimangono per sconfiggere l’emergenza climatica sono appena sei – se non verranno prese drastiche decisioni, se non inizieremo già oggi a cambiare le cose. E non mi si parli di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, di una rivoluzione culturale che deve partire dal basso, perché – con così poco tempo a disposizione – io non ci credo più. E allora non possiamo che affidarci alla politica. È la politica che deve imporre il divieto dell’uso di pesticidi, e pazienza se non potremo più specchiarci nelle mele. È la politica che deve porre un argine al traffico automobilistico, almeno nei luoghi più sensibili, che deve contingentare il turismo. Invece anche la nostra Provincia sui temi ambientali ha miseramente fallito. Una classe politica miope – peggio, miope per finta, perché non c’è più cieco di chi non vuol vedere – ci porterà dritti verso il punto di non ritorno.
Sull’orologio della catastrofe ambientale mancano pochi secondi a mezzanotte: scoccata l’ora X saremo obbligati ad andare in bici perché l’automobile non potremo più usarla, ad alimentarci di insetti perché la carne non potremo più mangiarla, a spegnere la TV alle dieci di sera perché troppi impianti vanno ancora – e in Cina nuovamente – a carbone. E tutti quei begli alberghi le piscine non potranno più scaldarle, e i nostri viaggi in aereo saranno banditi. Si chiama dittatura ecologica e, come ogni forma di dittatura, reprime e deprime. Sono uno scienziato per saperlo? No, ma mi affido alla scienza. Sono catastrofista? No, anzi spero che siano gli scienziati a sbagliarsi, ma temo che non sia così.
E ora la bella notizia: il mondo, privato degli esseri umani, continuerà ad esistere. Quel mio amato larice lassù verrà abbracciato da qualche orangotango. Prima o poi, rinascerà un essere umano, dotato di un’anima: farà grandi scoperte, gioirà della bellezza della cultura e dell’arte e amerà, proprio come facciamo noi. Dotato di un’intelligenza superiore, a differenza di quello che abbiamo fatto noi pretenderà la massima serietà dei suoi governanti. Trovata traccia della civiltà precedenti, riderà della stupidità dell’homo sapiens. E gli cambierà nome in homo demens.