Ciüf potrebbe farci pensare al suono del treno; in effetti la Maratona dles Dolomites è una grande locomotiva, fatta di tante anime che quest’anno viaggeranno sui binari del Ciüf che significa fiore nella nostra lingua ladina.

Perché abbiamo scelto per questa 35a edizione il tema dei Ciüf, della flora, dei fiori? Perché noi siamo paesaggio, noi siamo flora, e il paesaggio non esiste se non dentro di noi, se non insieme a noi e in quello che percepiamo, viviamo, captiamo. Quindi il paesaggio naturale è una nostra costruzione mentale, creativa e, attraverso le nostre azioni, lo determiniamo. Il rombo di una irrispettosa Ducati intorno al Sella è paesaggio, e diventano paesaggio i silenziosi ciclisti mentre arrancano su per il Pordoi. In questa parte di mondo privilegiato sentiamo la necessità di essere sempre razionali, pragmatici. Viviamo in un mare di conoscenza: vogliamo sapere, apprendere, riceviamo un’infinita varietà di informazioni; c’è un’erudizione dell’intelletto – il Sapere – ma il mondo è diventato difficile da capire. E allora ci fa paura, ci sfugge, alziamo le barricate, ci isoliamo. Viviamo accecati dalla nostra luce chiudendo gli occhi davanti ai drammi che ci circondano. Sembriamo essere illuministi, crediamo esclusivamente nella forza della ragione – non fosse che gli illuministi confidavano in un’evoluzione positiva dell’essere umano, mentre ora qualche dubbio ci viene – espellendo l’irrazionale. Ma non tutto si svolge sotto la luce della razionalità.

No, non riusciamo a comprendere solo con la testa. L’essere umano infatti pensa con tutto il corpo; non esiste quindi solamente l’erudizione dell’intelletto. C’è quella cosa in noi che si chiama sensibilità. E questa non ha nulla a che vedere con la crescita economica, così come la terra non è meramente il luogo che genera i nostri soldi, e la sensibilità non si acquisisce attraverso l’istruzione. La vera esperienza totale in noi è come la profondità del mare. E, come cantava Lucio Dalla, quant’è profondo il mare. Nel vasto mare c’è l’incognita, una multiforme varietà di vita che brulica, sguazza, galleggia, s’inabissa per riemergere. C’è la scoperta continua di nuove forme di vita, come in noi, e in noi c’è tutto. Basta mettersi a cercare, perché quello che cerchiamo è dentro di noi. È lo Gnōthi Sautón, la massima iscritta nel tempio di Apollo, il Conosci te stesso, vera prospettiva di vita. È venuto il momento di andare oltre il Sapere, è ora di sviluppare un gusto raffinato per la natura, perché la natura non è una cosa là fuori che si riduce a un picnic a Ferragosto, ma è una cosa dentro di noi, un mistero irrisolto. Un complesso ingranaggio che ha bisogno di tutte le minuscole parti per funzionare. Se viene a mancare l’acqua, se scompare la biodiversità, se alteriamo il territorio in base solo a fini utilitaristici alteriamo noi stessi. Degradiamo e inquiniamo noi stessi. Consumiamo noi stessi. Alla fine, distruggiamo noi stessi. Non vi è alcun profitto economico in un giglio, eppure. Così come non c’è in un’aquila che sopravvive grazie alla dura e cruda legge della natura cacciando un giovane camoscio. Ma l’aquila, il giglio, il camoscio se sono belli solo a scopi turistici valgono meno di una mucca banalizzata a macchina di produzione? In termini concreti e immediati forse sì, ma giglio, aquila e camoscio meritano di essere preservati, osservati per dare linfa nuova a tutto ciò che non è comprensibile nella nostra testa, il mistero!

Quanto sono belli i gigli tra Corvara e La Villa. Misteriosi, con il loro arancione si ergono a piccole divinità. Inutili, ma essenziali. Dice Gesù, tramite Matteo: “Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro”. Osservare un giglio maestoso per farci incantare: ed è così che il giglio diventa la strada per arrivare alla saggezza. La terra è una fabbrica ma è anche un posto dove vivere e la flora e il capriolo e il larice che tra poco diventerà giallo e poi rosso fuoco contribuiscono a renderla un buon posto. Sì, l’educazione alla flora non è una cosa a sé stante ma parte integrante dell’educazione alla terra e alla filosofia sociale. Lo diceva Aldo Leopold, ottanta anni fa. E William Blake con i suoi versi ci porta dentro il mondo tutto da scoprire:

Vedere un Mondo in un granello di sabbia,
e un Cielo in un fiore selvatico,
tenere l’infinito nel cavo della mano
e l’Eternità in un’ora”.

Se ci facciamo guidare dalla natura e ispirare dall’arte, dalla musica, dalla poesia, tirando fuori l’irrazionale che è in noi, riusciremo a salvare il mondo. Aumentare la sensibilità significa però anche accogliere l’altro, e accogliendo altro e l’altro in noi possiamo iniziare a capire che non si pensa con la propria testa ma si pensa con le parole degli altri perché in fondo non sbarchiamo mai da noi stessi. Non arriviamo mai ad essere altri se non diventando altri attraverso l’immaginazione sensibile di noi stessi.

 

Michil Costa

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