Del continuo incedere verso l’infinita umanità, le tecniche di comunicazione, e non solo da ora, ne sono una parte importante. La propaganda fascista portò la radio in tutte le scuole d’Italia e fece conoscere la lingua italiana che a settant’anni dall’Unità d’Italia era ancora sconosciuta alla maggioranza degli italiani. Credo sia stato difficile valutare all’epoca quanto ci fosse di vero e quanto era pericolosa quella deriva totalitaria e rivivere la nostalgia di un passato orribile è grave, ma è ancor peggio per le cose che si dicono ora e con la leggerezza con le quali vengono comunicate. Pochi anni dopo c’era chi rifiutava la televisione, con poco successo a dire il vero: negli anni Cinquanta la tivù era un bene di lusso per pochi italiani, ma creava socializzazione. Nelle case degli amici, nei bar ci si appassionava e si tifava per i concorrenti di Mike Bongiorno. Mario Riva con il Musichiere era una vera star, -il nostro papà Ernesto ce lo racconta spesso-, tant’è che la diffusione della TV crebbe rapidamente, sull’onda del successo della tivù americana. “L’ha detto la tivù”, si diceva; e agli inizi aveva perfino qualità pedagogiche importanti. In seguito ci fu chi criticò la televisione a colori, e non solo perché in quel lontano 1977 c’era chi prendeva in seria considerazione i rischi legati alla salute umana. La tivù? Giammai. La tivù a colori? L’inizio di un girone dantesco. La tivù commerciale, quella delle compravendite sbraitate e delle veline che mettono in bella mostra le parti più intime in tivù banalizzando e mercificando il corpo femminile è stata parte integrante della comunicazione dagli anni Ottanta in poi, inizio di un deterioramento culturale e sociale che ancora stiamo patendo, con la soppressione del linguaggio critico a vantaggio dello sproloquio pubblicitario.
Altro che la tivù di Rischiatutto a colori.
Oggi si fa tutto in tv e non ci stupirebbe se, come ha scritto qualcuno, quello lì si calasse le braghe e facesse la cacca in pubblico. Applauso. Applausi. Il giorno dopo tutti così… Si fa politica in tv, si fanno indagini in tv, i processi, l’amore, tutte cose che richiederebbero adeguate sedi, contesti, intimità, o meglio un ring! Una biblioteca senza bibliotecari. Un incontro di boxe appunto senza arbitro.
Poi venne Internet. E i social. Il mondo si restrinse, gli spazi si annullarono, il mercante del Bangladesh poteva vedere la vita del facoltoso imprenditore americano e scatenarsi sulla tastiera contro un mondo occidentale distante anni luce dal suo.
Tivù, giornali, internet, strumenti che, se usati male, fanno danni, ma anche mezzi che danno una concreta possibilità di lasciare un segno tangibile del nostro passaggio ai posteri. Capiranno tra mille anni quanto siamo stati belli, intelligenti, sensibili, innamorati, si meraviglieranno del nostro stupore quando abbiamo conquistato la Luna, mentre loro, i pronipoti, ci passeranno allegramente un weekend. Capiranno quanto siamo stati folli a lanciarci addosso i missili, mentre loro, chissà, combatteranno le guerre per l’oro liquido, l’acqua. A differenza di noi contemporanei, che conosciamo parzialmente la vita di Buddha, Socrate, Gesù e abbiamo notizie frammentate dei primitivi che vagavano per i boschi, dei violenti che si sono dati la clava in testa, in futuro potranno valutare le nostre azioni e giudicheranno gli imbecilli, gli egoisti, i violenti e i violentatori.
Oh certo, non sono i barbari che fanno la storia, ma apprendere l’evoluzione dell’essere umano potrebbe essere più interessante, se non altro per provare a non ripetere gli stessi errori. La storia insegna, ma non sempre abbiamo la possibilità di conoscerla. E troppo spesso, senza voler sentirne ragioni, non la impariamo. Le nuove tecnologie invece, molto più della radio, dei libri, dei giornali e della televisione a colori, lasceranno tracce ed esseri assai più intelligenti di noi impareranno non solo dai grandi saggi, dagli scienziati, dai visionari e dagli illuminati. Chi ci seguirà analizzerà il comportamento sconsiderato e becero di chi, nella nostra attuale società ha voce in capitolo ma andrà anche a spulciare mail e cinguettii di chi, ignorante del proprio autodistruttivo comportamento, è stato protagonista di un mondo che stava, o sta, chissà, implodendo.
I social, -e non è un obbligo usarli -, lasceranno un segno molto più potente rispetto a tutti i media fin qui conosciuti, per analizzare questo nostro contemporaneo mondo. Ed è molto probabile che, alla pari della buona televisione, della radio istruttiva, dei grandi giornali, verranno anche rimpianti quando altri e nuovi modi di comunicare prenderanno il sopravvento.