Un tempo sulla Terra, al calar del sole, non c’erano altre luci se non quelle della Luna e delle stelle. Agli abitanti del Pianeta, ovunque si trovassero, non rimaneva che alzare lo sguardo e iniziare a sognare vagabondando nel cielo con il naso all’insù. Ed ecco che i Greci in un gruppo di stelle vedono Orione, il grande cacciatore. E i nativi americani una grande mano, strappata dal Popolo del Tuono a un capo indiano per punire la sua avarizia. E gli aborigeni australiani una canoa con tre pescatori. Ed è così, da quando siamo nati le stelle, ci portano in un mondo altro. Ci fanno pensare al Natale ad esempio, o al destino, alla grandezza dell’universo, chissà. Già, le stelle. Che nei nostri sogni rappresentano le speranze che si accendono, la fiducia nel destino, la possibilità che dei desideri si possano realizzare. E bisogna essere rapidi a esprimerne uno quando una stella cade. Solo chi ha dentro un grande caos può fare nascere una stella diceva Nietzsche. Le stelle, chi non è affascinato, attratto dalle stelle?

Non bicchieri o capelli ma stelle assegna la guida Michelin. Chi ha una stella può annoverarsi tra i migliori. Ci sono cuochi che sognano tutta la vita di averne una e non la raggiungono mai, e ci sono cuochi che quando le stelle le perdono si uccidono.
Dire che le stelle non sono importanti, quel che conta è la soddisfazione dell’ospite può avere certo senso, ma è altrettanto vero che le stelle, che si prendano o si perdano, hanno un forte impatto emotivo per chi fa il nostro mestiere. E anche nell’epoca dei social, molti sono gli ospiti che si orientano con la guida rossa sotto il braccio.

Noi, alla Stüa de Michil, la stella ce l’avevamo, e l’abbiamo avuta per tanti anni, e le stelle le avevano i bravi colleghi del Siriola a San Cassiano. Poi sono svanite, volatilizzate, se ne sono andate tutte insieme agli chef di cucina. In Alta Badia erano rimaste le stelle del ristorante Hubertus, altissima cucina, servizio impeccabile, creatività stellare: appunto, da tre stelle. Un territorio che ha l’esigenza di svilupparsi, e non solo di crescere come numeri, vive però in simbiosi con le persone che lo abitano, necessita di connessioni, di influenze reciproche. Perdere stelle significa perdere relazioni. Le molte stelle che c’erano nei nostri paesi hanno motivato anche i rifugi, lì, in alto, sui cocuzzoli delle montagne. È innegabile che l’alta ristorazione nel fondovalle abbia spinto tutti a fare meglio, ad ampliare le cantine vini, ad appassionarsi alla cultura del cibo. E oggi va così: delle stelle che se ne sono andate, una è tornata. Quella della Stüa. E noi siamo molto contenti. E sono contenti i nostri collaboratori, lo chef Simone Cantafio e la sua equipe, e tutta la sala: sì, è un momento di festa. Una capriola di gioia collettiva. E vogliamo che questa stella illumini tutta la stagione che verrà.

La stella è importante non solo per il prestigio. La stella è un forte stimolo, uno sprone. La stella spinge, tira, ti fa dimenticare difficoltà e ostacoli. Grande è la gioia della riconferma delle tre stelle a Norbert Niederkofler, grandissima la contentezza nel sapere che anche a Selva di Val Gardena ora una stella brilla. Stelle che fanno costellazione fra le valli, che ci mettono in sana competizione, ma soprattutto che ci spingono a confrontarci, a dialogare, a capire quale indirizzo vogliamo prendere.

Mi preme dirvi che quando la stella ci aveva lasciato, voi, fedeli ospiti, non ci avete mai abbandonato. Giulan, grazie. E questa, forse, è la motivazione più grande. Sapere che riusciamo a fare cose belle anche senza riconoscimenti istituzionali. Vale per noi e vale per tutti coloro che amano questo lavoro. Come lo amiamo noi, tantissimo.

Le stelle sono tante, milioni di milioni recitava non solo un vecchio slogan pubblicitario ma anche l’inizio di una splendida canzone di De Gregori intitolata Non c’è niente da capire. Guardo le stelle mentre sono qui seduto a Castiglione d’Orcia. E penso all’immensità del cielo e veramente non c’è niente da capire. Solo da ammirare e contemplare la grande tela celeste sulla quale ogni civiltà ha dipinto la propria epopea. Ah, vaghe stelle dell’orsa…
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