Qualche giorno fa scrissi un sms al mio amico filosofo: “Che cinema questa povera politica italiana. Ma come e dove andremo a finire?”. La sua risposta: “Tranquillo, siamo già finiti”.
L’amico del cuore riesce sempre a mettermi di buon umore. O perlomeno sa come rischiarare di luce positiva i momenti tristi. Glossando Adriano Celentano possiamo dire “La situazione politica non è buona, la situazione economica non è buona”. No, non lo è. Ma il Nostro, aggiungendo “la situazione del mio lavandino non è buona” riesce, alla pari del mio amico, a metterci dell’humour. Mi viene da dire, un po’ incupendomi, un po’ sorridendo, ma com’è che siamo caduti così in basso e a destra?
Non vorrei, qui, ora tentare di fare un’analisi più o meno approfondita dei vari personaggi che ci governeranno, certo La Russa al Senato e Fontana alla Camera rappresentano un ottimo inizio di legislatura. Il punto sul quale vorrei soffermarmi è il seguente: l’essere umano per forza di cose deve fare politica, cioè amministrare le piccole e grandi questioni se non vuole pensare che darsi la clava in testa – ergo lanciarsi addosso i missili – sia una buona soluzione per la convivenza, per non dire sopravvivenza. Quel che quindi per me incomprensibile è che una buona fetta della popolazione pensi di partecipare alla vita di tutti i giorni, con i suoi consimili, non partecipando all’opportunità di una scelta democratica, ovverosia al sacrosanto diritto di voto. Sono sedici milioni e mezzo le persone che non sono andate a votare, vale a dire il 37%. Il vero partito di maggioranza. E c’è di più: dal 2018 al 2022 si sono persi quattro milioni e mezzo di elettori. Perciò l’astensione di massa ha degli effetti massicci e, al di là del gioco di parole, deleteri, non solo sul risultato elettorale ma anche, appunto, su tutta la nostra vita sociale.
Parafrasando con molta ironia la celebre massima di Lenin su estremismo e comunismo, mi chiedo come mai, pensando soprattutto all’astensionismo di sinistra, di fronte a una situazione di post pandemia, di guerra nel cuore dell’Europa, di una possibile minaccia di escalation nucleare, dell’effettiva probabilità dell’estinzione del genere umano, ci si possa permettere il lusso di non scegliere. E sempre rivolgendomi all’astensionista di sinistra, più infantile di un infante, mi chiedo come di fronte a un governo anti antifascista, per non dire postfascista e populista, non ci si possa prendere la briga di scegliere e di agire. E qui mi sovviene il dubbio che, se è vero che la politica si è allontanata dalle persone, è anche vero il contrario: noi come persone siamo diventati più cinici e siamo certamente più consumatori che cittadini e preferiamo guardare il nostro ombelico piuttosto che assumerci una qualche responsabilità. Quante volte ho sentito dire: nessuno mi rappresenta. Siamo proprio Narcisi davanti allo specchio e non vediamo altro che il nostro io. E qui tiro in ballo il buon caro De André con la sua celebre strofa che recita così: Per quanto vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti. Certo, la politica è da anni in crisi, ma a mio parere è in crisi il concetto stesso di comunità. È vero, l’elettore di sinistra può sentirsi sfinito e deluso di fronte alle incapacità dimostrate negli anni dagli esponenti politici di sinistra. Ma la deriva individualista non fa altro che allentare i vincoli sociali ed esaltare gli aspetti personali. Io, io, io, al posto di noi.
Votare non è solo un diritto faticosamente conquistato, è una possibilità unica per confrontarci, per discutere, anche animatamente. Chi non vota fa spallucce a ciò che gli sta intorno, poi caso mai si lamenta perché le cose non vanno come vorrebbe. Gli elettori potenzialmente di sinistra che hanno scelto di non votare mi lasciano davvero stupefatto perché un tempo la sinistra era la parte dell’Italia più disposta a socializzare, a stare insieme e condividere, a scambiare idee e a essere creativa e a battersi per qualcosa. Oggi, con tanta tristezza, mi vien da dire che chi si è astenuto ha compiuto un gesto puerile, egoista, miope. Ebbene sì, l’astensionismo è la malattia infantile del consumismo, nonché l’affermazione più eclatante dell’individualismo.
Per fortuna, contrapponendomi a Celentano che dice “la situazione del mio amore non è buona”, la mia personale è molto buona. E comunque per tutti vale: essere contenti, fare qualcosa di buono e lasciare fischiettare i passeri.