Mi ha sempre incuriosito quel cognome palindromo, un petalo, un colore. Poi ho iniziato a seguirlo sui giornali, a leggere i suoi libri. Il destino ha voluto che le nostre strade si incrociassero. A Monticchiello, in Val d’Orcia, stava nascendo un ecomostro: decine di appartamenti sarebbero stati costruiti nel meraviglioso borgo che sarebbe stato così deturpato da bruttura cementizia. L’ho visto in azione e ho capito che è nell’animo e nella capacità delle grandi persone difendere bellezza, territori, comunità. Anche sapendo che la bellezza non salverà certo il mondo, ma ben consapevoli che il brutto ha una forza contagiosa: quello scempio avrebbe rovinato le persone, abbrutendole. Ad Alberto avevano sfondato la porta di casa della sua Monticchiello, gli avevano mandato ogni sorta di invettiva. Sentimenti di odio che si erano fatti violenti. Ma lui, Alberto Asor Rosa, non ha mai mollato.
Sono stato varie volte nel suo buen retiro in Toscana, abbiamo passato ore meravigliose insieme. Il suo humour lo proteggeva dalla sua ipersensibilità. In anni non sospetti, mentre il cemento inghiottiva borghi e anime in tutta Italia, lui imperterrito continuava a credere nella bellezza. Docente alla Sapienza di Roma, mi disse un giorno che la letteratura italiana andava studiata nella sua interezza. Un italianista di spessore, attratto dall’arte. Appoggiò il Teatro Povero di Monticchiello, riuscì a farsi benvolere dalla popolazione. Ancora oggi il Teatro, nato negli anni ’60, è un progetto culturale e sociale attivo. In un tempo nel quale tutta la Val d’Orcia si stava trasformando, sradicando anche tradizioni e culture locali, il Teatro Povero ha resistito fungendo da avamposto di idee e di iniziative. Il Teatro, una vera e propria cooperativa, ha continuato a svilupparsi, integrando persone del luogo, gestendo spazi poli-funzionali, una piccola biblioteca, dei punti ristoro, un noleggio bici. Asor Rosa ci ha sempre creduto. Riteneva il rapporto tra attore e personaggio fondamentale. Persone del luogo che “recitano” sé stesse: in questo proscenio non di rado nasceva e ancora nasce un rapporto diretto con il pubblico.
Alberto, ora non ci sei più. Te ne sei andato mentre sta iniziando la notte più lunga dell’anno. Sarà lunga anche per me. Ti penserò caro Alberto. Grazie per avermi fatto stare bene. Grazie per le tue parole, le terrò in me a comporre giorno dopo giorno l’alba di un mondo nuovo.