Spinto da entusiasmi imprenditoriali, l’homo faber non riesce a non produrre, costruire, consumare.
Non fa eccezione l’homo oeconimicus tirolensis, categoria di cui faccio parte, che, non trovando più molto suolo da occupare nel minuscolo Südtirol, va alla conquista del lago di Garda, per spingersi oltre confine andando verso nord e verso est, e approdare anche in Etruria.
La capacità di adattamento dell’imprenditore turistico tirolese -molto lontano ormai dall’incarnare atavici modelli di ospitalità vera, sincera e vissuta- è ben nota. Ne deriva che le sue SPA siano ai vertici mondiali, la sua cucina molto buona con guizzi eccellenti, l’efficienza encomiabile, i risultati economici ottimi.
Insomma, la storia dell’homo oeconimicus tirolensis, con tanto di lederhosen e trilby, è fatta di successi continui. Onore e merito, perciò, a chi si dà tanto da fare.
Di un sistema turistico che comunque non porta a una serenità diffusa, che ha sempre maggiori difficoltà nel reperimento dei collaboratori, che vive sulla netta scissione tra scuole alberghiere e modelli lavorativi, che si nutre di falsità in termini di comunicazione, che è incapace di autolimitarsi, che produce un’offerta sempre più omologata ne abbiamo fin troppo parlato e, dunque, non ne parleremo più, perlomeno non ora.
Quello che mi preme invece è provare a capire il motivo per il quale l’homo oeconimicus tirolensis si concentra a creare esercizi ricettivi in zone limitrofe, o comunque relativamente poco distanti, e non pensa di esportare assodati modelli di successo in paesi lontani. Dove? In Africa! A suggerirmelo è nientemeno che Il Sole24 ore, vale a dire una fonte più che autorevole.
Sì, l’Africa, il continente nero che da qui a breve cambierà completamente i rapporti con il resto del mondo.
Mentre nel nostro paradiso dorato occidentale, fatto di società troppo più ricche delle altre, i tassi di natalità stanno crollando ovunque, al punto che non si saprà più come fare a prendersi cura degli anziani, in Africa le cose vanno in modo diametralmente opposto.
Tra 25 anni almeno un terzo di tutti i giovani del mondo tra i 15 e 24 anni sarà africano.
Non solo: l’Africa è piena di risorse naturali, riserve minerali necessarie per produrre auto elettriche e pannelli solari.
Questa potrebbe essere un’ottima notizia, non fosse che sono in atto nuovi progetti relativi al Gas naturale liquefatto, che faranno aumentare del 45% l’attuale produzione. Con tanti saluti agli obiettivi di emissioni zero di CO2.
La Cop 28, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si riunisce a Dubai, capitale degli Emirati Arabi Uniti, il settimo produttore al mondo di petrolio e tra i principali esportatori, non porterà certo buoni risultati. E come potrebbe?
Il presidente della Cop 28 è il boss della compagnia petrolifera Adnoc e gli Emirati Arabi Uniti sono tra i pochi Paesi che puntano a incrementare notevolmente la propria produzione nel prossimo decennio.
Lo stesso si può dire di gran parte dei paesi del Golfo: d’altronde Kuwait e Qatar non hanno per nulla previsto obiettivi climatici, Arabia Saudita e Bahrain hanno posticipato la neutralità climatica al 2060, mentre la strategia iraniana sull’esportazione di greggio rimane appesa alle sanzioni internazionali.
Fare previsioni future in quanto a energia si potrà solo nel 2030, nella speranza che quello attuale sia stato il picco massimo del consumo di energia a livello mondiale.
Ma torniamo a noi e all’Africa.
In settembre l’Unione africana è entrata a fare parte del gruppo dei 20, il principale forum di cooperazione economica internazionale, sedendosi allo stesso tavolo dell’Unione europea.
Le aziende internazionali stanno inseguendo milioni di nuovi consumatori africani che emergono ogni anno, e sono alla caccia dei mercati non sfruttati nei campi più vasti, dai cosmetici a tutto il settore bio, dal vino agli alberghi. Hilton prevede di aprire 65 nuovi alberghi entro cinque anni.
Ovviamente nulla è lasciato al caso: in base a indagini di mercato e proiezioni varie si sa che la categoria dei milionari è quella in più rapida ascesa nel mondo.
No, non pensate che stiano crescendo come funghi in Cina, e nemmeno in India. No. I nuovi miliardari sono in Africa! Credit Suisse stima di raggiungere 768 mila milionari entro i prossimi quattro anni.
La vera sfida dell’Africa ora è gestire una crescita sfrenata. Entro il prossimo decennio l’Africa avrà la più grande forza lavoro del mondo, superando India e Cina. E nel mondo entro il 2040, due bambini su cinque saranno africani. Con buona pace di leghisti, fratelli patrioti e Südtiroler Freiheit. Anzi, a leggere questi dati, si ha ancora una volta l’esatta percezione di quanto sia miope lo sguardo di certa classe dirigente.
Ecco, quindi, la soluzione, cari colleghi albergatori: lasciamo intatte, si fa per dire, Toscana, lago di Garda e Südtirol, e andiamo in Africa. Andiamo, certo, perché lo stesso discorso vale anche per noi, famiglia di albergatori che non ama starsene con le mani in mano.
E poi dai, la miglior musica viene da lì. Senza il blues dove saremmo noi bianchi che di nome facciamo Keith, Mick, John, Eric e via dicendo? E poi il buon vino non manca, e l’arte? Avete presente Julie Mehretu, tanto per fare un nome? E le montagne? E i grandi laghi che al confronto quello di Garda è una pozzanghera?
Bene: guardare verso l’Africa può essere una buona idea.
Del resto, non è che non l’abbiamo fatto nei secoli passati.
Abbiamo sfruttato le loro risorse, esportato milioni e milioni di schiavi, colonizzato le terre, creato disastri ambientali con tanto di guerre, soprusi e violenze, dato vita a confini e stati inesistenti, insomma ne abbiamo fatte di tutti i colori.
Forse, nel prossimo futuro, il nostro approccio dovrebbe un po’ cambiare, anche se non credo che potenze come la Cina -che in Africa c’è già da tempo- la Russia, gli Stati Uniti e persino la Turchia e le petro-monarchie del Golfo abbiano un atteggiamento soft. Ma tant’è.
Anche noi che apparteniamo all’homo oeconimicus tirolensis possiamo fare la nostra parte. E già vedo campanili a cipolla accanto ai baobab, slitte in ebano massiccio, spa da ventimila metri quadrati dato che in Africa tutto è più grande, impianti di risalita con tanto di Afriski, anche se i luoghi perennemente innevati del continente africano sono pochissimi e spesso irraggiungibili. E poi sulle nevi dei monti Rwenzori tra Uganda e Congo, così come sul ghiacciaio del Krapf Rognon sul Monte Kenya e sul Kilimangiaro in Tanzania, è severamente vietato sciare, come è giusto che sia. Guardare, eventualmente scalare, ma non toccare.
Riusciranno perciò i nostri eroi, vale a dire noi stessi, a fare qualcosa di buono ed esportare il modello Südtirol anche nelle savane più sperdute? Forza, che Mama Africa ci aspetta. E anche se ci sono “so much trouble in the world” come cantava Bob Marley pensando alla sua Africa Unite, noi abbiamo sempre “so much solutions” nel nostro zaino.
.m