Spesso mi domandano perché io critichi e attacchi certe forme di turismo in montagna; in fondo, non vivo io stesso di questo?

Una notifica sul cellulare mi aiuta a capirlo. Disattivarle pare impossibile. Programmate per seguirci ovunque, monitorare dove andiamo o siamo; ascoltano e solleticano i nostri gusti.

“Vacanze sulle Alpi“, leggo. Poi clicco e si apre un mondo: “Scopri il meglio delle nostre vacanze sulle Alpi, in famiglia o in coppia. Sci nelle Alpi italiane, snowboard in Svizzera, chalet in Francia: tutto all inclusive!”. Link dopo link, mi vengono offerte numerose proposte che promettono ogni esperienza sulla neve.

È un’epoca bulimica questa, dove tutto è offerto all’istante, accompagnato dall’ansia del “non puoi perderlo, devi provare tutto”.

Le Alpi si trasformano così in un gigantesco “all you can eat”: skipass, lezioni di sci, attività per chi non scia, escursioni, ferrate, rifugi, sci di fondo, snowboard, e persino polenta accompagnata da musica nei rifugi o dal silenzio delle conche. E per i più arditi? Tute alari e lattine di bevande con bovini in primo piano.

Dal Monte Bianco al Cervino, passando per il Gran Paradiso, tra Italia, Francia e Svizzera, le Alpi diventano un immenso parco giochi montano. Tutto a portata di click… o quasi.

L’artificiale si è diffuso lungo l’intero arco alpino, fino a sostituire la realtà e la sua essenza con una versione commerciabile.

Già mezzo secolo fa, il brillante e anticonformista storico e paesaggista svizzero Lucius Burckhardt ci avvertiva di questa trasformazione, in cui il falso diventa autentico.

Il turismo è una delle industrie più rilevanti del tempo che abitiamo. L’uomo, emancipatosi dalle piccole comunità in cerca di una vita migliore e dei servizi offerti dalle città, finisce poi per cercare pace e tranquillità proprio in quei luoghi che aveva abbandonato. E così, andando di nuovo verso sé stesso, torna a visitare le località che una volta aveva rifiutato, alla ricerca di una serenità che la vita urbana non riesce a dargli.

Il turismo impone ovunque nuove infrastrutture, sconvolgendo l’architettura naturale per sostituirla con una geografia ora prettamente antropizzata.

È una vera e propria violenza su Madre Terra.

L’uomo agisce sull’ambiente attraverso la politica, e se scegliamo leader politici prosseneti della natura che martoriano e seviziano il territorio, anche il turismo di montagna diventa una forma di “pornoalpino”.

Siamo diventati tutti voyeurs e non attori di questa nudità, affascinati e ingolositi dall’idea che forse Elon Musk costruirà il suo buen retiro a pochi chilometri da Corvara, a San Cassiano.

Attendiamo curiosi di scoprire quale stravaganza nascerà, mentre restiamo impassibili di fronte a violenze ambientali, come l’abbattimento di abeti e larici secolari, sacrificati all’altare pagano della costruzione di una presuntuosa pista da bob, certamente destinata all’abbandono, proprio come la sua trascurata antenata.

Per garantire un futuro alle Alpi serve un cambiamento radicale che non si basi su vecchi modelli di sviluppo o su stereotipi che riducono la montagna ad un semplice paradiso di bellezza incontaminata.

Eppure, dov’è questo sguardo nel frenetico processo di cementificazione preolimpica?

L’acqua delle sorgenti è risucchiata per creare neve artificiale e così facendo si scavano buchi profondi: si distrugge per creare. Che ossimoro spaventoso.

Le terre Alte, così come gli Appennini tutti e tanti altri angoli remoti, devono tornare al centro dell’attenzione, possono rinascere a nuova vita. Come? Ripopolando i paesi, rendendo interessanti questi luoghi attraverso la rinascita di mestieri dimenticati oppure collaborando con le comunità locali per far rivivere queste zone con attività che vadano oltre il semplice turismo.

Paesi autentici e vitali potrebbero attrarre ospiti speciali e offrire a giovani e meno giovani l’opportunità di abbandonare il “logorio della vita moderna” e accostarsi a diverse modalità di approccio al quotidiano.

L’altro giorno stavo tornando a casa. Mi sono fermato in un tratto di bosco risparmiato da Vaia e dal bostrico, un insetto che ha distrutto i nostri abeti. Immobile e in silenzio, speravo nel canto del gallo cedrone, descritto con tanta poesia da Rigoni Stern ne Il libro degli animali.

Dopo ore di attesa, finalmente ecco un fruscio lieve tra i rami di un cirmolo. Ho ammirato la sua barba, che i vecchi cacciatori osservavano per determinarne l’età, ma a me è apparso eterno, con il suo canto che si innalzava oltre la foresta, verso l’infinito.

Una luce improvvisa è filtrata tra gli alberi, illuminando la sua coda dispiegata come uno stendardo, testimone di un luogo oltre il tempo.

Era un miracolo, o forse era un sogno.

L’ho guardato e gli ho detto: “Tu, signore dei boschi, che dopo la stagione dell’amore ti ritiri solitario come un anacoreta, ora ti mostri incurante della tua possibile estinzione?” Non ha risposto.

La sua apparizione, così rara e maestosa, mi ha ricordato, come se non lo sapessimo già, che solo ammirando la natura possiamo trovare il vero conforto e la più alta ispirazione.

Altro che Alpi all inclusive.

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