Il nostro tempo è uno scioglilingua. Corriamo, parliamo e gridiamo incapaci di ascoltare, inciampiamo nelle nostre stesse parole e nei nostri pensieri, ormai confusi. Confondiamo la libertà con l’arroganza, le opinioni con la verità. Chi urla più forte sembra possedere la ragione, e chi cerca il sapere viene sbeffeggiato. La scienza, la cultura, il pensiero critico non sono più baluardi di conoscenza, ma nemici di chi vuole il potere. I nuovi gerarchi non impugnano armi, ma lanciando tweet e post social infiammano le ammaestrate folle con slogan e menzogne.
E mentre questo teatrino va in scena, Madre Gaia soffre. Otto miliardi di vite la esauriscono, la offendono, abusano di lei. I mari si alzano, i ghiacciai si sciolgono, le terre fertili diventano deserti. Inverni senza neve, estati senza tregua. Il passaggio a Nord-Ovest, che per secoli è stato leggenda, oggi è un’autostrada di ghiaccio liquefatto, attenti a non caderci giù! Eppure, continuiamo a consumare senza sosta, a negare l’evidenza, a trivellare per accumulare oggi, senza pensare a quale domani lasceremo. Ci nutriamo di pollame cresciuto senza mai vedere il sole, di salmoni che si divorano l’un l’altro in allevamenti-prigione, di frutti avvelenati da pesticidi. POVERE BESTIE, POVERE PIANTE, POVERI NOI. Abbiamo i cervelli pieni di plastica, corpi intossicati da glifosato, cuori spenti dagli schermi blu. E chi prova a denunciare tutto questo viene deriso. Povero il medico che prova a ragionare con l’ubriaco.
E dov’è l’idea comune che aiuti a preservare il nostro pianeta?
Era il 1941 quando Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, confinati dai fascisti sull’isola di Ventotene, sognavano un’Europa unita e democratica, libera da nazionalismi e capace di costruire un futuro comune. Nacque così il Manifesto di Ventotene, un’idea rivoluzionaria, visione di fratellanza e cooperazione. Quel sogno è sbiadito, dimenticato, soffocato da chi pretende in nome di chissà quale sicurezza il ritorno a confini e divisioni.
L’unica sicurezza che vogliono è quella del potere, dell’avidità.
Siamo quindi condannati a questo ottundimento della ragione, incapaci di cambiare rotta? Io credo invece che la speranza esista ancora, più piccola forse, ma luminosa. Va riconosciuta e protetta. La speranza che un futuro diverso da quello che ci stanno raccontando ci sia e debba essere la chiave per aprire un nuovo mondo, che è possibile, che esiste già in potenza e che va solo scoperto. Dove abbiamo nascosto questa chiave? Forse abbiamo bisogno di un mantra? Di una parola “magica” che possa aiutarci a spezzare le sbarre di questo cancello? E se questa parola fosse “effatà”?
“Effatà”, in aramaico, significa “Apriti”. È un invito che attraversa i secoli, un appello alla mutazione interiore e alla capacità di accogliere l’altro. Aprirsi è il primo gesto di ospitalità, un movimento che trasforma. L’accoglienza è dignità, e senza dignità non siamo nulla. Nell’antica Grecia, l’ospitalità (xenía) era sacra: Omero racconta di Ulisse, accolto e nutrito prima ancora che gli venisse chiesto il suo nome. L’accoglienza è il gesto che distingue la civiltà dalla barbarie.
Per questo nasce la Casa-famiglia di Nakibanga, in Uganda: più di un semplice rifugio, luogo di opportunità, uno spazio dove il futuro si costruisce con la solidarietà. Accogliere significa dare valore alla vita. E l’accoglienza è più di un atto umano: è la natura stessa di Gaia. L’argilla, nelle mani di chi la modella, si trasforma in qualcosa di eterno.
Le Bambine di terra di Margherita Grasselli raccontano tutto questo: figure senza volto, aperte al riconoscimento e alla riflessione, testimoni di storie ancora da dipingere. Alcune simboleggiano la cura e l’ospitalità, altre portano i nomi di bambine africane che presto troveranno rifugio in questa casa speciale. La terra accoglie e nutre, custodisce e restituisce. Insieme loro saranno 17 Bambine che portano le storie di donne un tempo bambine di Casa Costa, e di bambine africane che saranno un giorno donne.
L’accoglienza non è un dono, è un dovere, il fondamento di ogni civiltà. Come il suolo accoglie la ghianda e la trasforma in quercia, così una comunità cresce solo se sa accogliere e far fiorire ciò che incontra.
Ecco perché dal 1° Marzo al 30 Marzo, ospiteremo nella nostra Stüa de Michil, nella nostra Casa La Perla, la mostra delle Bambine di Terra di Margherita; potrai liberamente venire a trovarci, tutti i giorni dalle 16:00 alle 18:00 e ammirare queste opere e magari portarne una a casa, oppure farne dono, perché anche nel dono di aprirsi all’altro l’argilla delle nostre vite mostra il potenziale di qualcosa di più grande. È questo il messaggio di Effatà: la bellezza dell’incontro, la forza della trasformazione, il valore di ogni vita che merita di essere vista, ascoltata, accolta. Non serve abbattere la Torre di Babele che abitiamo oggi per liberarci dall’incapacità di comunicare, da questo digitale scioglilingua che ci ha resi sordi. Piuttosto, apriamone le porte, facciamo in modo che tutti possiamo abitare insieme la casa che Dio ci ha donato. Sediamoci insieme e condividiamo, per favore.
Apriamoci alla speranza. Apriamoci alla vita. Apriamoci a Gaia. Effatà.
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