Non possiamo vivere senza arte e non possiamo vivere senza conoscere l’arte: bellezza vera, quella che è perpetua e che vibra nelle corde dell’invisibile anela l’infinito.
Centocinquanta anni fa nasceva l’impressionismo. A Palazzo Reale, a Milano, sono esposti cinquantadue capolavori di Renoir e Cezanne, maestri di una corrente che ha influenzato in maniera decisiva le generazioni successive. Nelle pennellate abbozzate di Renoir, quasi fluttuanti e nelle forme indefinite, mi smarrisco e mi emoziono profondamente.
Mi sono emozionato anche durante la presentazione della storica guida de “Le Soste”, presso le Cantine Berlucchi (Franciacorta), dove ne ho conosciuto il presidente Davide Oldani.
Mi è piaciuto molto l’uomo e ho deciso di andare a trovarlo, per sedermi a tavola da lui, con lui.
Partito dai Navigli dove alloggiavo, armato di zainetto, mi sono diretto verso San Pietro all’Olmo. Passeggiata di diciassette chilometri che mi ha portato ad incontrare e scoprire la chiesa di San Francesco Fopponino. La Chiesa è stata disegnata da Giò Ponti, bella, molto bella.
Nella piazzetta di San Pietro mi è spiaciuto avere trovata chiusa la Chiesa Vecchia; tuttavia, il tempo poi trascorso con Oldani, in un sommarsi di creatività, gusto e umanità, è stato superlativo.
La creatività e il gusto (quello della ricerca del bello), l’umanità, sono i tratti che animano chi fa arte, chi crea, e di chi tutela e condivide il bello. E l’Italia è appunto così bella e così ricca di cose meravigliose.
La nostra Maratona dles Dolomites -ci sarà tra pochi giorni- l’abbiamo presentata alle Gallerie d’Italia, con la mostra di Felice Carena, maestro del secessionismo, ad arricchirci ancora di bellezza. Che museo!
Museo: cosa significa oggi? Dal concetto di contenitore / scatola di mura – più o meno moderno – il suo significato contempla oggi la possibilità di accogliere anche raccolte immateriali, legate ad aspetti sensoriali come il piacere, la vista, o l’udito. Al suo interno ora scopriamo la multimedialità e il futuro prossimo. Il museo come concetto nasce nell’ epoca illuminista: il suo scopo era racchiudere la sintesi del canone dell’identità di una nazione. Come può oggi quel tema incontrare il presente o il futuro?
Penso all’Altes Museum di Berlino, o alla Galleria Nazionale d’arte Moderna di Roma, e penso al magnifico Beaubourg di Parigi realizzato nel 1977 da Renzo Piano e Richard Rogers, che ha innestato un’autentica rivoluzione nel panorama museale mondiale. Sì, il Centre Pompidou in un attimo manda in frantumi il concetto stesso di museo che fino a quel giorno regnava in tutto il mondo. Ed è così: in quella macchina aliena convivevano e convivono tuttora le più profonde pulsioni delle avanguardie culturali che predicano l’avvento di una società aperta, fatta anche di musei senza muri.
Piano e Rogers all’epoca non erano archistar, ma giovani intraprendenti e visionari. E che coraggio da parte delle istituzioni affidare loro un simile progetto. Era solo l’inizio. Le archistar, o meglio, gli architetti visionari capaci di modellare lo spazio visivo urbano, avrebbero lasciato il loro segno indelebile sui musei.
Ma le continue repliche del Guggenheim, l’ipermuseo, le architetture estreme ad ogni costo, mi paiono quasi regressione piuttosto che innovazione. Il museo diventa franchising, clonazione: come il Louvre ad Abu Dhabi, o l’equiparazione dei grandi marchi museali a quelli della moda e del consumo. E qui voglio arrivare: la casa-madre, Tate o Louvre o Guggenheim che sia, apre filiali negli hot-spot del nuovo turismo. Come un H&M qualsiasi, come un negozio Zara qualsiasi.
L’arte che diventa un prodotto da svendita, destinato alle orde di turisti, pronti a selfie di fronte all’opera di Cezanne. Non sostano, fotografano e postano, poi si spostano. Vedono attraverso lo schermo (vedono?). Non mi va di passare per il boomer di turno (parola tanto cara a molti), cerco un’analisi quasi antropologica del presente dove i comportamenti standardizzati sono figli di altrettanti standard. È nello standard che è riflesso condizionato, che il consumatore si riconosce, si accetta, si auto gratifica.
Oggi i grandi direttori e curatori museali devono ripensare il museo secondo i nuovi input richiesti dal mercato. I musei diventano non luoghi a causa del troppo digitale e l’avvento dell’I.A. mette in discussione anche la dimensione tangibile dei manufatti artistici, il museo diventa volubile ed effimero, dedito a coinvolgere il visitatore che è consumatore, attraverso le “experiences”. Ambienti immersivi con installazioni e proiezioni dinamiche, volte a generare un continuo “nuovo”.
Mi mancano il silenzio, la contemplazione, la ferma e meditata riflessione e ispirazione.
Quello che conta ora è il mercato: meglio migliaia di impreparati visitatori in infradito che si muovono voraci e rumorosi tra i padiglioni, che silenziosi ammiratori di bellezze senza tempo.
San Paolo ci racconta che nel visibile risiede l’effimero e che solo nell’invisibile si può rintracciare l’eterno, e, allora torno al punto di partenza: Renoir e Cezanne. Mi fermo ad ammirare le Bagnanti e, oltre alla bellezza del dipinto, intuisco perché certe opere vanno oltre il canone estetico, per raggiungere l’eternità. Nel tratto del pennello, colme di un ossimoro visivo che mescola i colori tenui con quelli più carichi, colgo l’invisibile che mi cela l’infinito. Un “oltretempo” che va ben oltre gli affanni e le tragedie umane. Un capolavoro è tale perché racchiude ed esalta il pathos e lo sforzo della ricerca dell’invisibile. E questo va oltre la vacuità delle innumerevoli e non necessarie mole di opere prodotte oggi. Il consumatore cerca il visibile, quello che è subito “utilizzabile e godibile”, mentre l’invisibile è il dono che i maestri – conosciuti o meno – ci offrono con la loro generosità creativa, per spingerci a cercare il non visibile, l’infinito. Anche a pranzare da Oldani però si va oltre la realtà. È un sogno concreto, tangibile. I grandi architetti, i grandi chef, sono grandi maestri.
Quella magnifica chiesetta che si vede dai tavoli del ristorante D’O merita di essere sempre aperta. Come la nostra chiesetta qui a Corvara meriterebbe di ospitare le funzioni e la celebrazione dei matrimoni.
Respiro.
Adesso vado nel bosco ad abbracciare gli alberi e connettermi con i sovrumani silenzi e quella profondissima quiete tanto care al Poeta. E a meditare sulla possibile corrispondenza che intercorre fra invisibile e infinito. Sì, sono convinto che esista. L’infinito esiste dentro lo spazio tra lo zero e l’uno, perché non dovrebbe esistere nell’invisibile dell’arte?
Tanti saluti miei cari e se trovate un po’ d’arte in giro, quella invisibile mi raccomando, mettetela da parte e conservatela per momenti migliori. Quelli che hanno a che fare con l’infinito.
.m
P.S. Se qualcuno è interessato ad approfondire il tema Musei, consiglio il bel libro curato da Fulvio Irace “Musei possibili. Storie, sfide, sperimentazioni”, Carocci editore.
Buona lettura!