Ai piedi della possente mole del Sassongher, il nostro monolite di casa, si passeggia e si respira. Nelle prime ore serali il papà osserva quell’inviolabile torrione le cui mura possono essere scalate solo da un sommo alpinista. La madre, godendosi l’alpina frescura, fa correre i bimbi senza pericoli motorizzati tutt’intorno. Sembrano ricordi di quando si guadagnava a fatica la zona del paese alto per salire in cabinovia al Col Alt e avere un armistizio dal traffico soffocante. È sbiadita in un trapassato remoto la memoria di dover zigzagare tra pulman e camper per salire al Boé onde trovare un po’di pace. Ora, tutt’intorno è quiete.
Corvara, trafficato “paesino di montagna”, rovinato da brutture architettoniche e da accecanti neon, è ormai in preda a un puzzolente incubo di rumori, -non solo nei momenti di maggior affollamento-. I guadagni sono stati privatizzati ma le perdite socializzate.
I miracoli però avvengono, e da qualche giorno si è trasformato. Dalle cinque del pomeriggio rivive una seconda giovinezza. Ridiventa la “mia” Corvara. Chiudo gli occhi, rivedo la quiete. Viene amplificato il profumo dell’ultimo fieno raccolto dal contadino; si ode il frusciar delle vele dei parapendii sopra le teste di ospiti e paesani.
La pedonalizzazione è uno dei traguardi più importanti raggiunti dall’ex idilliaco paesello. Non senza fatica. Sembra impossibile che alcuni commercianti e albergatori siano contro il blocco del traffico. La brutta bestia dell’ignoranza continua imperterrita la sua cavalcata. Miete vittime non innocenti di mancata comprensione dell’importanza di una qualità di vita senza auto, senza motociclette, furgoni e furgoncini. Temono crolli di fatturato e sviluppano una forma mentis di paura della fame. Rivedono gli spettri della povertà post-grande guerra.
A nulla vale spiegar loro l’importanza di una turismo contemporaneo dal tranquillo e silenzioso vetusto sapore; del “vivere” la pace. Loro, gran faticatori e sgobboni di poche idee e meno visioni, nell’antico vivono e rivedono solo l’arcaico dramma contadino. Bloccati dalla paura del peggio comprendono solo la gioia che si misura in termini di pecunia sonante; il fatturato immediato.
Dall’altra parte ci siamo noi, quelli che nella pace vedono l’opportunità turistica e l’aumento di qualità di vita. Siamo contenti, felici di un piccolo successo raggiunto.
Ne sono certo: prima o poi gli affari miglioreranno, e, con dei bei cash-flow tutti crederanno alla grazia divina.
Sfrattare le auto totalmente dai paesi e dai passi dolomitici, questa non può essere la strada, questa è l’unica strada percorribile. Per un futuro di successo, per un presente vivibile.
Allora sì che sarà gioia tout-court; e la gioia è contagiosa, e sarà gioia vera. Per tutti.
michil costa, Corriere dell’Alto Adige, 5 agosto 2009