Si, recuperiamo il silenzio per capire dove vogliamo andare
Silenzio: l’assenza di rumori, di suoni, di parole. Dal latino silentium derivato da silere, ovvero tacere. Così l’estroso e creativo Michil Costa, patron di uno dei più rinomati alberghi della val Badia, ha deciso di proporre ai suoi ospiti una cena all’insegna del silenzio. Il personale, compresi cuochi e camerieri, tutti in religioso silenzio. Michil Costa conferma che ormai da anni dedica una giornata alla settimana al silenzio, inteso come forma di meditazione. L’idea, per sua stessa ammissione, non è originale ma presa a prestito e poi fatta sua come regola di vita dai monaci tibetani e dal Mahatma Gandhi. Ma non occorre necessariamente scomodare filosofie e religioni orientali; chi ha fatto esperienza in monasteri sparsi in Italia e in Europa, ha potuto vivere l’esperienza positiva e introspettiva del silenzio. In quest’epoca sempre più rumorosa, ammalata di inquinamento acustico, c’è sempre più la necessità di occupare del tempo per il benessere della nostra mente.
Ma iniziamo con una breve digressione sulla natura dell’uomo e da ciò che lo contraddistingue. L’uomo è diverso dall’animale soprattutto perché il suo cervello è stato in grado di sviluppare il linguaggio e la consapevolezza del suo essere. In pratica noi siamo in grado di riflettere su ciò che facciamo e su chi siamo e possiamo comunicarlo attraverso il linguaggio agli altri nostri simili. queste due peculiarità, purtroppo, sono sempre più inquinate e disturbate da una sovraesposizione di stimoli acustici (si parla troppo e tutti contemporaneamente con un sottofondo rumoroso).
In queste condizioni la nostra capacità di “mindfulness” come dicono gli inglesi, ovvero di essere consapevoli qui del qui ed ora, di ciò che siamo e ciò che facciamo, diminuisce e ci porta a vivere e ad agire seguendo solo automatismi e schemi rigidi prefissati. tutto ciò non giova al nostro benessere mentale e diventa causa di numerosi disturbi come ansia, depressione e difficoltà relazionale. Pensiamo inoltre quanto siano sempre più diffusi i disturbi dell’attenzione in bambini in età scolare. Se non impariamo da piccoli a stare in silenzio e nel silenzio senza provare ansia, come facciamo a concentrarci sui nostri compiti e sulle nostre decisioni? Se nessuno ci ha insegnato a compiere alcune delle nostre azioni quotidiane in silenzio, come possiamo astenerci dall’iperattività e dalla compulsione a dover fare e doverci muovere senza pace? L’arte del silenzio va insegnata in famiglia, a scuola, negli ambienti di lavoro e non va scambiata per assenza di comunicazione. tutt’altro, come sappiamo dai principi che regolano la comunicazione umana non si può non comunicare, in quanto noi comunichiamo sempre. Una volta nelle scuole materne si faceva il gioco del silenzio e questo piaceva molto ai bambini. Ma il gioco spesso altro non è che l’anticipazione e la ritualizzazione di certi comportamenti che caratterizzano la nostra vita. Il gioco del silenzio non dovrebbe rimanere fine a se stesso, ma essere propedeutico ad altre attività di rilassamento/meditazione necessarie al nostro benessere psicofisico. Un’aula, un salotto una sala di ristorante appaiono poco vive se c’?e solo silenzio, ma il troppo rumore e i troppi suoni inficiano le attività di insegnamento, di apprendimento, il piacere di mangiare, gustando appieno i piatti preparati. Il silenzio d’altronde è conditio sine qua non per numerose attività come il dormire, il pregare, il meditare, il fare i compiti e perché no:l’assaporare pietanze o bevande. Adesso gli unici luoghi dove si può trovare un po’ di silenzio sono le chiese, ma solo quando non ci sono funzioni in atto. Qualcuno ha quindi pensato di proporre l’esperienza del tacere nel proprio ristorante: chissà! Cerchiamo di recuperare il nostro silenzio anche per capire dove vogliamo andare.
Massimo Mery, L’Alto Adige, 23 settembre 2009