Il capitalismo è una forma mentis, una forza assieme creatrice e distruttiva che ha soggiogato le coscienze sfruttando e annientando tutto e tutti, gli individui – a proposito: individui non si nasce ma si diventa -, la natura e tutto quello che è bene comune.
Un capitalismo buono può esistere solo quando esiste un buon depauperamento. Capitalismo è accumulo, è crescita economica.
E la crescita, quella economica, è sete di potere. Ma la crescita, come il potere, non può essere infinita. Sono questi alcuni pensieri di Serge Latouche; e non c’è nulla di peggio, così continua l’economista, di una società della crescita senza crescita. Se non freniamo la crescita incontrollata – il tanto decantato “sviluppo sostenibile” non esiste – per forza di cose dovremo pensare seriamente al transumanesimo, a fuggire da questo pianeta. Ci abitueremo a vivere negli oceani? O ad aggirarci come talpe in mondi sotterranei, nutrendoci di Red Bull e barrette energetiche, trascorrendo lì anche le nostre vacanze, viaggiando solo con una dose di LSD?
Intossicati dalle ideologie produttiviste, da un eccessivo consumo di energia, da una terribile ansia di sfruttamento del suolo e dalla “febbre del mattone”, non abbiamo più né il tempo né la volontà di guardare al futuro, un futuro diverso, fatto di una democrazia che tuteli i diritti di tutti e di un’ecologia che salvaguardi il nostro povero pianeta. Eppure siamo in piena emergenza ecologica. Siamo in guerra, e in guerra bisogna trovare un nemico: e allora distruggiamo l’ambiente e calpestiamo chi sta peggio di noi, solo per produrre al minor costo possibile.
Ma i grandi della terra hanno altro a cui pensare; le lobbies dei poteri forti hanno spinto sull’acceleratore e gli amministratori pensano che l’attenzione per l’ambiente non paghi, nell’urna elettorale. L’agonia del pianeta ancora per qualche anno non interesserà a nessuno. Solo noi “fondamentalisti ambientali” udiamo l’urlo d’allarme che giunge dalle viscere della Terra, guai a parlarne in giro, a denunciare la mercificazione dei territori, anche dei nostri paesini turisticamente sviluppati ma alienati e inquinati.
I grandi del Südtirol vanno a rifarsi la verginità in Africa, ma la realtà è che il Südtirol spende in aiuti al Terzo Mondo cinque volte meno del Trentino (a parità di bilancio). L’Onu consiglia di destinare alla cooperazione e allo sviluppo almeno lo 0,7% del Pil, noi ci fermiamo allo 0,01%.
No, non ci rendiamo conto che, di questo passo, andremo incontro ad un colpo di stato ecologico, ad un’ecocrazia autoritaria e totalitaria: la situazione degenererà quando inizierà a mancare l’acqua, si scioglieranno i ghiacci e si esauriranno le risorse energetiche fossili; i ricchi più ricchi saranno assaliti dai poveri più poveri e prenderanno il potere movimenti xenofobi con un’organizzazione totalitaria, un econazismo planetario; e i tagli draconiani ai nostri consumi daranno vita a conflitti ancora più cruenti.
Le generazioni che seguiranno ci malediranno per aver giocato a calcetto con la cultura, per non avere rispettato le forme di vita, per avere sprecato l’oro bianco.
Non posso non pensare da pessimista, ma voglio comunque agire da ottimista, perché ogni buona azione umana è fondamentale per il miglioramento sociale e morale. Vi è dunque motivo, seguendo la celebre formula di Gramsci, per temperare il pessimismo della ragione con l’ottimismo del cuore.
Un cambiamento è possibile. Uno sviluppo diverso è auspicabile. Lo sviluppo però deve porsi dei limiti, avere il senso della misura e rispetto della dimensione umana. Non possiamo fare la rivoluzione rinnegando del tutto il modello capitalistico che ci ha comunque assicurato il benessere. Ma quel modello di sviluppo deve essere adeguato olisticamente alle vere esigenze dell’essere umano e dell’ambiente in cui vive. La qualità della vita è cultura, è tutela dell’ambiente, è bellezza del paesaggio.
Dobbiamo fare le cose con più dolcezza. Invece di parlare sempre e solo di letti pieni, di Tolomei, delle “Ehrenzeichen des Landes Tirol” -alte onorificenze tirolesi-, di ampliamenti quantitativi, di spread, lusso e grandi opere (e grandi guasti) potremmo usare di più termini come educazione, sensibilità, tradizioni, legame con il territorio, moderazione, armonia. Più libri, libri buoni, e meno festival di Sanremo.
L’importante è iniziare questo percorso… alla fine il nuovo modello di sviluppo ne sarà una conseguenza naturale, accettata e non imposta.
michil costa