È certamente lodevole che nel nuovo museo di piazza alla Vittoria, BZ ’18 -’45, i testi siano pochi e sintetici. In un’epoca condizionata da un surplus d’informazioni, è prova d’intelligenza riuscire a essere concisi pur non tralasciando le notizie più importanti.
Il museo che aspira a diventare simbolo di pace e di convivenza tra i popoli ha anche una nota d’internazionalità, con tanto di traduzione in inglese dei vari contenuti. Giusto: vogliamo pur essere di mondo! Sì, un museo di tal importanza e fattura ci voleva. Finalmente un luogo dove la storia è vista da diversi punti di vista, non solo interpretata secondo il gruppo di appartenenza.
Quindi tutto perfetto, si dirà? Non proprio.
Non trovo corretto che in BZ ’18 -‘45 non sia presente la nostra lingua, il ladino. Non pretendo, e credo che nessuno lo pretenda, che tutte le informazioni debbano essere tradotte nella nostra lingua, ma in un posto storicamente così importante, nel quale la convivenza e la pace sono elementi fondamentali, ‘dimenticare’ la nostra antica lingua, presente ben prima del tedesco e dell’italiano in regione, mi sembra una trascuratezza che non so se definire subdola o poco lungimirante. In entrambi i casi, la faccenda è grave. E la storia raccontata, monca.
Anche noi siamo parte della storia e della cultura di questo paese. Non m’interessa l’aspetto folkloristico, per cui a volte il ladino è mostrato perché fa fashion, come a volte fanno gli americani mettendo in bella vista i pellerossa perché fa tendenza. Di essere carini e politicamente corretti ne possiamo anche fare a meno.
E’ una mera questione di verità: anche noi facciamo parte di questa Terra. E se c’è una lingua che deve essere presente, quella è proprio il ladino, perché i ladini non sono mai stati elemento di spartizione, semmai di legame tra i due maggiori gruppi linguistici.
Mi dicono i curatori del museo che sono previste le pagine internet e che la nostra lingua troverà il suo spazio all’interno del museo. Allora mi chiedo: perché non prevederlo subito?
Sembra anche che ci siano state delle difficoltà, non sapendo quale idioma usare, gardenese o badiota. Qui ora si potrebbe aprire una discussione, della quale però ne farò a meno, sull’importanza di una lingua unificata scritta.
Nel parcours del museo, in cui si focalizza l’attenzione contro l’emarginazione e la pratica discriminante dei sistemi totalitari – e penso anche all’ingiusta tripartizione fascista della quale ancora oggi noi ne paghiamo le conseguenze, con il ladino completamente assente nelle valli venete – è assolutamente di prioritaria importanza che si provveda in tempi rapidi a colmare questa grave lacuna. Gardenese, badiota o ladino standard poco importa. Vogliamo augurarcelo, sono ripetitivo: si tratta di una mera questione di rispetto.
David Lardschneider nel nostro settimanale – abbiamo anche quello! – “La Usc di Ladins” scrive che BZ ’18 –’45 è un centro di documentazione ben fatto, da rimandare però ‘a settembre’ per sostenere un esame di riparazione, proprio come a scuola, in lingua ladina. Condivido. E comunque sia, la delusione c’è, quel che rimane è un po’ di amaro in bocca.
De bi salüc. Schöne Grüße. Saluti belli.
Michil Costa, Alto Adige, 08/08/2014