Che bella coincidenza. Sabato 21 marzo non solo è il primo giorno di primavera, ma è anche la giornata internazionale della poesia. Può sembrare anacronistico, ma oggi più che mai dovremmo leggere poesia, vivere poesia, pensare poesia. Perché la poesia è una voce che non si può spegnere, non si può smarrire. È una luce di taglio, che mette in risalto aspetti vitali e spesso nascosti del nostro essere. È una voce intima, che connette in modo istantaneo con altri mondi, altre epoche, altre dimensioni appena la inizi ad ascoltare. Un canto di Omero e sei laggiù, fra i marosi del Mediterraneo, in compagnia di un afflato immortale. Tre versi di Celan e la giornata cambia prospettiva:
La morte è un fiore che solo una volta fiorisce/Ma fiorisce come nient’altro fiorisce/Fiorisce, appena lo vuole, non fiorisce nel tempo.
Oggi la poesia sembra seguire un viaggio parallelo alla nostra contemporaneità, la vediamo danzare dai nostri finestrini digitali e la stiamo perdendo di vista. Dovremmo cercare di acchiapparla, di legarci a lei in modo indissolubile, dovremmo riuscire a farla diventare la nostra migliore amica. Com’è possibile immaginare il mondo senza un sonetto di Shakespeare, la malinconia di Pessoa, la lucidità infinita di Leopardi, la follia allucinata di Ginsberg? Sarebbe come il susino di Brecht, la nostra vita senza poesia.
Nel cortile c’è un susino/quant’è piccolo non crederesti/gli hanno messo intorno una grata/perché la gente non lo pesti./Se potesse crescerebbe/diventar grande gli piacerebbe./Ma non servono parole/quel che gli manca è il sole./Che è un susino appena lo credi/perché susine non ne fa./Eppure è un susino/e lo vedi dalla foglia che ha.
La nostra vita senza poesia è la vita senza sole. Per questo viviamo in tempi bui. Forse è sempre stato così, però la poesia fa stare in equilibrio il mondo celando le brutture in esso contenute. O esasperandole al punto che il brutto possa trovare una redenzione. La poesia è sofferenza, la poesia è vitalità, la poesia è bellezza e quindi sarà sempre lei, madama Bellezza, a salvare il mondo. E allora bisogna scovarla la poesia, in ogni dove. E conservarla, custodirla, farne tesoro. E condividerla.
Una foglia e l’altra. Un’altra/di diverso colore/e nelle mani dalla carne sfiorita/le tieni inespresse,/costrette solamente alla loro bellezza./Mi sorridi e d’intorno/sei sospensione del tempo,/un filo d’erba che ignora il suo prato./Incantevole dono il tuo.
C’è poesia anche nelle valli ladine. Come questa di Roberta Dapunt. O come quelle di Elisabeth Oberbacher, che ha appena pubblicato il libro “Ares de pavël” (Ali di farfalla). Senza dimenticare la voce di Rut Bernardi, gardenese ormai affermata che ci ricorda come le valli ladine non siano solo economia turistica, ma sappiano esprimere parole che volano lontano. Perché sì, la poesia è un viaggio nel tempo e nel mondo che ha un effetto pacificante, di guarigione: ‘può essere un modo per curare le ferite che la vita continuamente infligge, – come sostiene il monaco Sabino Chialà nel suo libro ‘Parole in cammino’ – anche quelle del giorno appena trascorso. Può addirittura risultare una terapia contro l’aggressività. A volte il viaggio ha la capacità di alleggerire il carico e di liberare da pesi: può sciogliere vincoli e ridurre all’essenziale. Può distrarre gli incantesimi e consolare’. E allora salviamo la poesia, liberiamola dalle ganasce che la opprimono, per salvare noi stessi. Viaggiamo con lei senza stancarci mai, perché come scrive Pessoa:
La terra è fatta di cielo./Non ha nido la menzogna./Mai nessuno s’è smarrito./Tutto è verità e passaggio.
Michil Costa