“Hope I die before I get old” (ovvero, “spero di morire prima di diventare vecchio”) cantano gli “Who” nella canzone manifesto “My Generation” del 1965. Fortunatamente molti coetanei di Roger e Pete hanno resistito a lungo e parecchi di loro sono ancora vivi, vegeti e creativi. È innegabile però che in questi giorni, in questi mesi in cui sono tante le star che ci stanno lasciando, prevalga una sensazione strana in molti di noi che hanno avuto la fortuna di crescere a suon di rock. Una sensazione di smarrimento. Come se “quel” sogno, Lucia nel cielo con i diamanti, –Lucy in the sky with diamonds– si stesse smaterializzando del tutto: la carlinga del rock è sempre più affusolata e sta perdendo a uno a uno i pezzi migliori.

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È vero: ognuno di noi ha, ha avuto, le sue predilezioni che col passare degli anni si sono via via stemperate ed è più facile oggi spaziare da uno stile all’altro, da un’epoca all’altra senza quell’afflato quasi ideologico che albergava in tutti gli appassionati di musica. E si sorride adesso ai partiti presi di allora ed è bello vedere smussate le distinzioni di un tempo, e ci si riempie di gioia nel mettere in fila gusti e stili senza più barriere o prese di posizione. Blues ed elettronica, West Coast e mod, glam e contry, punk e rap, prog e disco, trance e new wave, soul e hard, grounge e rockabilly, tecno e garage: la musica come colonna sonora di vita, unica ed eterogenea, popolata di strani e amabilissimi ceffi, alcuni autentici geni e innovatori, -Frank Zappa!- altri pazzeschi performer, altri ancora semplicemente testimoni di un presente che nasce giovane e tale vuol rimanere. Qui è il punto: come conciliare l’afflato giovanile con l’incedere senile? In ognuno di noi David Bowie rimarrà pur sempre uno young american, Keith Emerson un ‘Lucky Man’ uomo fortunato e George Martin il quinto beatle, quello che gioca coi nastri all’indietro e sembra il fratello pop di Stockhausen. Perché la musica va oltre l’essere umano e si tramanda di generazione in generazione per resistere alle intemperie del tempo. E in attesa di nuove dimensioni sonore, che saranno esplorate per forza di cose dai nipoti dei nostri nipoti, continuerò a ripetermi, anche se molti degli interpreti mi mancano, cavolo se mi mancano, che in fondo “it’s only rock ‘n’ roll, but I like it”.
Michil Costa, Alto Adige e Trentino, 16/03/2016
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